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Andateci

IL TABERNACOLO A TRIBUNA

SILVANO COLOMBO - 12/07/2024

san-giorgioNella chiesa di San Giorgio a Biumo Superiore, vi porto a vedere due testimonianze barocche che in assoluto sono le più rilevanti nel panorama storico-artistico della nostra città.

Mi auguro che qualcuno non storca il naso a sentire e vedere barocco, perché se così fosse, mi darei per vinto visto che per decenni e decenni ho sostenuto l’importanza dello stile e ne ho scritto addirittura un volume con l’amico Giuseppe Redaelli: Occhio al Barocco, Edizioni Lativa, Varese, 2007.

Ma se anche così fosse, questa volta, faccio finta di niente e vi illustro due monumenti del barocco varesino.

Il primo è quell’impianto poderoso, ligneo, costruito, scolpito e dorato, che sta al posto dell’altare maggiore e che nella penombra dell’abside prende luce e luccica da par suo.

Èun tabernacolo a tribuna, per dire che il tabernacolo, in sé la porzione più rilevante dell’edificio ligneo, è annegato nella costruzione di una tribuna lignea-architettonica a considerare la quale c’è da perdere il filo del discorso.

Per scoprirne l’autore dovete andare dietro l’altare e decifrare il testo di una cartella disegnata che dice: BERNARDINUS CASTELLUS LOCI VELATI FECIT ET PAULUS GLUSIANUS BURGI ANGLERIAE INAURAVIT MENSE IULIJ MDCLXXXI e si traduce agevolmente in “ Bernardino Castelli del luogo di Velate fece e Paolo Giussani del borgo di Angera indorò nel mese di luglio del 1681”.

Bernardino Castelli (1646-1725) è il più rinomato scultore in legno del secondo seicento, continuatore di una tradizione di legnamari di Velate, e a sua volta capo di una bottega che durerà fin entro il pieno Settecento.

Sue opere sono nella basilica di San Vittore, e sono le più rilevanti. Potremmo parlarne a parte in una prossima visita.

Avendone indicato la provenienza dal luogo di Velate ne rimarca l’assoluta autonomia nei confronti di Varese. Del resto, fino al 1927, Velate fu comune a se stante, come tante altre realtà dell’attuale comune di Varese, fatto ingrandire per renderlo degno di essere sede della Provincia appositamente istituita per riconoscere la qualità e l’entità dell’apporto di Varese nel campo dell’industria, a partire da quella aeronautica, delle concerie, delle calzature ecc..

Va aggiunta un’ultima considerazione: questo monumento è l’apice della produzione di manufatti d’arte in legno in quanto, a partire dai primi decenni del Settecento, si volle ammodernare le aree dei presbitèri e dotarle di costruzioni in marmo, rese preziose con riporti bronzei dorati al mercurio. Ne è preziosissima testimonianza l’altare maggiore di San Vittore che abbiamo già visto.

Cambiarono di conseguenze le botteghe dei fornitori; a quelli di Velate subentrarono i marmorini di Viggiù, tra i quali eccelse la famiglia dei Buzzi, un dei quali, Elia Vincenzo, fu splendido scultore attivo anche per la Fabbrica del Duomo di Milano.

Non è di poco conto farvi considerare che le cave dei marmi erano a Viggiù, e talune di pietra soda per fare le colonne a Brenno Useria. Bisognava trasportarle su appositi carri, detto carri matti, a bassissime ruote, senza sponde, con robusto tavolato, per tutta la Valceresio fino al borgo di Varese. Vi lascio pensare la fatica di portare quei carichi di colonne per le Cappelle del Sacro Monte, che venivano da Brenno e i marmi lavorati per San Vittore.

Quanto sudore, quanti boccali di vino, quanti denari per i carradori, e quale e quanta perizia per non perdere il carico o scheggiarne i pezzi più rifiniti.

D’altra parte i periti legnamari di Velate non smisero il loro mestiere e lo concentrarono sulla mobilia, perché, ad esempio, un armadio di sacrestia bisognava pur sempre farlo in buono e bel noce intagliato e se occorreva qualche tavolo a fratino o qualche cassettone, dapprima lineare e schietto come quelli del Seicento, poi mossi e intarsiati come quelli del Settecento, i velatesi erano pronti alla bisogna.

Il mio trisnonno, Angelo Bianchi, fino sul finire dell’Ottocento avrebbe lavorato i ceppi in legno di noce per montare le campane dei Bizzozero, prima, e poi le sue, ma ben presto si sarebbe fatto moderno, passando alla fusione in ghisa.

Torniamo a considerare l’edificio della tribuna.

L’architettura barocca è nella sua essenza rifuggente da un prospetto classico, cioè rettilineo, in quanto deve risultare imprendibile all’occhio, sempre mobilissima, non offrire un punto di riposo ma suggerire sempre un andare oltre, più in là, più in su.

Concorre a questo risultato l’impianto base, che promuove uno davanti all’altro, i plinti che fanno da base alle colonne. Queste, ovviamente, sono tortili, quasi come quelle inventate dal Bernini in San Pietro a Roma.

La colonna tortile si avvita su se stessa, e la luce non la modella pienamente, come una colonna dorica a fusto liscio, ma la svena.

Aggiungete la doratura ed in tal modo la pelle dorata, lucente, aiuta a far sgusciare le forme.

Il primo ordine si compie con un frontone spezzato, mistilineo, che non consente di immaginare come si sviluppi dal primo piano a quello di fondo, suggerito come eco di una forma spezzata.

Quello superiore, che sembra ravvedersi e diventa frontale con il timpano classico, triangolare, viene travolto dal crescendo della cimasa.

Il secondo monumento lo vediamo la volta prossima.

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