Gli anni si allungano, i ricordi si affievoliscono, perché i primi sono cento, ma lo spirito è sempre vigile, allenato dalla lunga professione, dalla passione politica di mezzo secolo fa, dall’ancora odierno interesse per la cosa pubblica. Ferruccio Zuccaro non si tira indietro per parlare della sua vita. Lo fa dal suo studio di via Speroni, diretto dalla figlia Giovanna, con la quale si presenta tutti i giorni, scendendo dalla sua casa al Sacro Monte. Ore passate all’abituale scrivania di una vita in riflessioni, scrittura di appunti, qualche parere quando richiesto. Il passo è ancora deciso, anche se le forze vanno calibrate. Il decano degli avvocati varesini e probabilmente non solo loro (“stiamo facendo indagini con i vari Ordini provinciali”, dicono in studio) ha festeggiato i 65 anni di iscrizione all’albo tre anni fa, ha visto passare dalla sua scrivania alcuni dei processi più rilevanti del dopoguerra, ma avrebbe potuto essere ricordato per un altro mestiere.
Il Liceo classico avviato a Varese al Cairoli e concluso a Milano, Ferruccio si laureava alla Statale in Giurisprudenza, ma oltre a un impegno accademico – su invito di Ezio Vanoni, quello della riforma tributaria, e avendo come collega il futuro ministro Francesco Forte – ad attirarlo era il mestiere dello scrivere. “Arrivai a lavorare come redattore all’Italia, il quotidiano diretto allora da don Ernesto Pisoni, che sarebbe poi confluito nell’ L’Avvenire. Ebbi anche qualche contrasto in ambito curiale per qualche articolo scritto su un altro foglio varesino, “Il Mattocco”. Decisivo fu però il padre. “Lui, che lavorava come contabile alla conciaria Cornelia a Valle Olona, si era fissato di fare di me un avvocato. Un giorno venne a prelevarmi fisicamente a Milano. Gli dissi che avevo cose importanti da concludere al giornale, mi diede quindici giorni e mi ritrovai a Varese. Feci la pratica e i primi passi nello studio dell’avvocato Giuseppe Robertazzi, alla morte del quale, nel 1958 rilevai lo studio. Che poi trasferii in Via Piave, vicini di casa e amici stretti del direttore della Prealpina Mario Lodi e della moglie Mariuccia”
Anni passati velocemente. Un modo di lavorare trasformato. “Oggi è tutto molto più veloce, le pratiche con il computer, il deposito degli atti che si fa dallo studio e non più facendo la fila in Tribunale. Oggi è tutto disponibile subito, ma allora c’era più rapporto umano, si incontravano i colleghi, si prendeva un caffè e un viaggio in treno consentiva di leggere, studiare”. Inevitabile chiedergli della sua lunga parentesi politica, compresa la militanza nella Massoneria. “Sono sempre stato un liberale. Negli anni ’60 a Varese, il Pli contava molto, era il terzo partito. Erano gli anni in cui mi sentivo con Malagodi, per non parlare di Piero Chiara, un grande amico, sempre insieme. Per diversi anni fui in consiglio Comunale (dal 1964) e poi negli anni ’80, gli incarichi in Provincia. Diressi anche il periodico liberale ‘Il Cittadino Libero’”
Nato in fondo via San Martino da madre varesina e padre pugliese, ha visto sorgere negli anni ’30 il Palazzo di Giustizia (“con gli altri bambini, andavamo il pomeriggio a rubare i mattoni”) e con esso realizzarsi molte delle trasformazioni della città poi ancora quelle degli anni ’60 del boom. “Sì molte cose sono cambiate, però sono convinto che questo sia ancora un posto dove val la pena vivere, così come a un giovane consiglierei la carriera d’avvocato”, ricorda Zuccaro che mezzo secolo fa aveva avuto l’occasione di acquistare, nel bosco del Sacro Monte, quello che sarebbe divenuto il “luogo del cuore” per lui e la moglie Nuccia, venuta presto a mancare per un’improvvisa reazione anafilattica a un’iniezione nel 1973, proprio il giorno in cui la nuova casa veniva completata. A quel luogo è sempre rimasto fedele e da abitante locale si espresse contro “i lavori troppo invasivi previsti a suo tempo per il parcheggio in zona Prima Cappella, anche se è vero che qualche misura va comunque presa per evitare l’assalto selvaggio in zona”. Allo stesso modo ha sempre mostrato interesse per il tema teatro a Varese. “Il vecchio Teatro Sociale è un peccato che sia stato abbattuto a suo tempo, ma era da molti anni in disuso e mal ridotto. Bene che non sia stato fatto alla Caserma e che si sia deciso di farlo nella sede che ho sempre sostenuto: il Politeama”. A 100 anni, confessa di “amare sempre andare in giro, partecipare agli incontri e manifestazioni”. A lui, che per 20 anni è stato presidente (oggi ancora onorario) del Circolo degli Artisti, chiedo: verrà all’inaugurazione del nuovo polo culturale della ex Caserma, prevista il prossimo anno, e a quella del futuro teatro che sta nascendo proprio dove auspicava? “Senz’altro!” è la risposta decisa e il più contento sarà probabilmente il nipote: il sindaco Davide Galimberti, di cui si dichiara “orgoglioso dell’impegno cui, malgrado avesse una carriera professionale legale e accademica avviata si è dedicato a tempo pieno, totalmente davanti agli interessi privati”.
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