La poesia nella sua essenza secondo me dovrebbe essere “verticale”.
Esiste ancora la possibilità che un poeta scriva “che fai tu luna in ciel”? Per poesia verticale intendo quella che indaga, tenta il grande mistero che sta dietro la vita e la morte.
Mi pare che tutta la dimensione del nostro tempo sia “orizzontale”. Lo è la nostra vita, lo è la tecnologia esasperata di cui sempre più ci si serve.
Questo pensiero mi è venuto osservando la traccia degli ultimi esami di maturità riferita al romanzo di Pirandello Quaderni di Serafino Gubbio operatore: il protagonista perde completamente la propria umanità, finisce con l’essere un automa, un meccanismo privo di comunicazione umana, senza parola. E ho immaginato l’uomo del nostro tempo proiettato su uno schermo divenire sempre più piccolo, via via allontanandosi in una lunga prospettiva, mentre la sua voce si perde, sostituita da suoni che la imitano, anche bene, ma non sono “suoi”.
Tornando alla poesia: è evidente che ci sono nella modernità poesie bellissime, coinvolgenti ed emozionanti. Spesso incentrate sui rapporti, sui sentimenti che legano le persone tra loro, su eventi della vita. Poesie bellissime, di poeti eccellenti. Ma che riflettono secondo me quello che è oggi il nostro sentire: lo sguardo davanti a noi, non verso l’alto.
Se guardiamo solo davanti a noi, vediamo spesso le aspirazioni e i limiti della nostra vita. Se osserviamo un abete, per esempio, ne vediamo la bellezza, l’altitudine oltre il tetto di una casa, il poderoso intreccio delle radici: ma cosa regola il variegato aspetto della natura?
Essa ci parla. Pensiamo alla celeberrima poesia Corrispondenze di Baudelaire: “È un tempio la Natura…”. Ma salendo dalla sensualità baudleriana si può anche cercare un senso nell’oltre, e non intendo quello di una fede costituita: un oltre comunque metafisico.
Questa tensione del nostro animo è connaturata all’uomo e si è espressa nella poesia nel tempo. È la poesia che definisco “verticale”: un “sentire” che esprima la ricerca del senso. Aldilà delle strofe e delle rime, anzi “prima” di esse.
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