Ritengo sbagliata la legge sull’autonomia differenziata delle Regioni, ma per motivi diversi da quelli di solito segnalati e discussi.
La mia è infatti una tesi minoritaria che molti hanno criticato anche perché arriva da un regionalista convinto che ha lavorato molto sui temi dell’autonomia delle Regioni.
Ripropongo qui la mia posizione in quanto ne sono sempre più convinto.
Dunque, temo che un risultato questa riforma l’abbia già ottenuto: fa crescere la simpatia per il centralismo romano, e non soltanto al Sud. La mia premessa politica è netta: molto meglio, quando possibile, la responsabilità affidata ad amministratori eletti piuttosto che a ministeri lontani.
Bisogna però ammettere, questo è il punto vero, che le relazioni Stato-Regioni riformate nel 2001 sotto il Titolo V della Costituzione andrebbero fortemente riordinate e in parte ridimensionate. Invece si è proceduto in tutt’altro modo.
Avevo votato a favore del referendum del 2001 su quella legge voluta dal centrosinistra per controbattere il secessionismo predicato dalla Lega. E poi l’ho sostenuta in Regione, ma dopo alcuni anni ho cambiato opinione.
Mi spiego: quel famoso Titolo V contempla ben 23 materie su cui far scattare una maggiore autonomia per le Regioni con le carte in regola.
Fra queste, per citarne solo alcune, le grandi reti di comunicazione; la produzione e il trasporto dell’energia; porti e aeroporti civili: davvero un eccesso.
L’esperienza mi dice chiaramente che queste competenze vanno riassegnate allo Stato con la sola richiesta di confronto con le Regioni coinvolte. Se si evita questo passaggio si pesta acqua nel mortaio, anzi si combinano dei guai.
Ecco altri tre motivi di dissenso con la legge appena approvata:
1) Il capitolo sanità doveva essere modificato. Giusto lasciare le competenze ordinarie alle Regioni ma la guida nelle pandemie e il controllo sul rapporto fra medicina pubblica e privata vanno attribuiti allo Stato in modo esplicito e permanente.
2) La scuola: bene la competenza regionale per la formazione professionale ma non ci possono essere venti sistemi scolastici. Sarebbe la fine di un cardine intorno al quale si costruisce la comune coscienza civile di un Paese.
3) Livelli Essenziali delle Prestazioni: senza impegni precisi anche per i finanziamenti, questa legge legittima le forti preoccupazioni del Sud ed è diventata una sorta di manifesto propagandistico che chissà quando mai entrerà in vigore.
Penso che su questi forti cambiamenti di buon senso istituzionale si doveva trovare un’intesa politica più ampia per rendere molto più agevole la successiva attuazione dell’autonomia per le materie rimanenti che sarebbero tutt’altro che insignificanti.
Ci sarebbe voluto più confronto sostanziale e meno contrapposizione da entrambe le parti politiche. Soprattutto da parte del governo che è andato avanti a colpi di maggioranza e che ha ovviamente le maggiori responsabilità.
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