Infilatevi per via San Martino, in direzione del Tribunale. Superate quella pietra sigillata nel selciato, a sinistra, che indica dove era la porta di San Martino. Mai vista? Guardate all’altezza del civico 10, dirimpetto, e non sempre le vetrine e fate mente locale. Il borgo di Varese finiva lì, prima che venissero addizionate nobili case nell’Ottocento!
Immediatamente fuori dal borgo, la chiesa di San Martino. Fermatevi nello slargo, avendo cura di non farvi tirare sotto dai veicoli, e guardate in fondo, sulla vostra destra. Là è la chiesa della Madonnina in prato, a guardia della castellanza di Biumo Inferiore: chiesa dedicata alla Natività di Maria Vergine, come il Duomo di Milano.
In prato: evidentemente da dove siete fino alla chiesa non erano altro che prati, un verde lavorato, segnato per lungo da una strada bianca che poi sarebbe diventata via Dandolo, e che propriamente si denominava lo stradone della Madonnina.
La facciata della chiesa di Biumo Inferiore si pianta in pieno sole occidente, cioè rispetta pienamente l’orientamento. La sua abside punta verso est e prende le prime luci del sole nascente
Questa volta voglio raccogliere indizi sulla scena del delitto, valutarli, farne prove ed alla fine corroborare la sentenza sull’età della sua costruzione.
A mano a mano che ci si avvicina, ci rendiamo conto che è una chiesa accogliente. Difatti la sua facciata non è quella vera e propria dell’aula sacra, ma è un prospetto che sale sopra un porticato capace, che prepara all’ingresso nella chiesa vera e propria: un alto prònao come quello fatto costruire dai Carcano per la Dodicesima Cappella del Sacro Monte, su progetto, è una mia attribuzione, di Carlo Buzzi, subentrato al Bernascone, morto in occasione della pestilenza. Pittoricamente allettante, con ornati e sculture allestito con sculture di Carlo Antonio Buono (attivo dal 1634 al 1673) verso il settimo decennio del Seicento.
E’ composto sul ritmo della serliana cinquecentesca, cioè con le aperture rettangolari ai lati e l’ingresso centrale girato con arco a pieno centro.
A sorreggere l’arco sono due telamoni che poggiano su un basamento ad erma, e supportano l’architrave con l’inserimento di due cuscini nappati, contrappunto ai capitelli dorici, collocati per addolcire lo scarico del peso e segnalare una bizzarria barocca.
Ne vien fuori un andito chiaroscurato sul quale il prospetto della chiesa cresce in piena luce, specialmente se la si considera di pomeriggio.
Sopra l’architrave dell’ordine inferiore si stende un basamento sul quale poggiano, due per parte, semi-pilastri appena aggettanti, per dare movimento di chiaro-scuro alla luce radente, e capitelli ionici, dalle volute proiettate all’esterno, estroflesse, non appiattite come sono quelle degli ordini classici. Sono arricchiti da festoni di frutti che si dilungano nelle specchiature laterali, di modo che la morbidezza del rilievo genera un chiaroscuro mobilissimo, raffinato.
Nei due campi laterali, inquadrate da semipilastri appena aggettanti, quasi lesene, sono due nicchie centinate dalle quali avanzano fuori le due statue in pietra di Saltrio, dei Santi Giuseppe, con la verga fiorita ( a sinistra), e San Gioachino, padre della Madonna ( a destra). Non so di quale scultore siano opera: azzardo che possa essere uno di quelli che lavorava alla decorazione esterna di una delle ultime cappelle. Potrebbe trattarsi di uno uscito dalla cerchia di Dionigi Bussola, mi riferisco a Giuseppe Rusnati. Chi legge può convenire o dissentire, basta che faccia le sue ricerche e le renda pubbliche.
La grande finestra centrale, con balaustrata a balconcino, è inquadrata in un telaio rigorosamente delineato, in contrappunto con la varietà delle forme collaterali, ma nel suo cappello si adorna di due volute elasticamente curvate, arricchite di corone di frutti, basamento dello stemma che con riccioli estroflessi come l’evoluzione di un capitello ionico, attirano l’attenzione per la vivacità dell’intreccio.
Il testo inciso è per me illeggibile.
Il frontone, che in ossequio ai dettami dell’architettura classica, sigilla il prospetto, fa da piede ad una balaustrata riccamente traforata, che stempera nel cielo la linearità del triangolo del frontone.
Due angeli suonano ciascuno una lunga tuba, per inneggiare alla figura della Vergine che con elegante, allungata figura, avvolta da mantello ampiamente drappeggiato, congiunge le mani in preghiera rivolgendosi alla propria Incoronazione, lassù alla Madonna di Santa Maria del Monte.
La somma di tutte questi indizi mi inducono a considerare che questo prospetto sia opera non più tardo rinascimentale, ma che tenda al barocco. In effetti fu compiuto tra il 1678 ed il 1686, per mano di chi ignoro, anche se avanzo il nome di Carlo Buzzi, e lo si può considerare l’ultima tappa dell’ammodernamento tardo-secentesco della chiesa.
Nel suo interno, infatti, gira uno dei più bei cieli affrescati lombardi. L’opera, che rappresenta l’Assunzione della Vergine in cielo, è di mano del pittore milanese Antonio Busca, che la datò di sua mano al 1667, un anno prima che andasse a lavorare nella Decima Cappella del Sacro Monte del Rosario sopra Varese.
La chiesa in origine era una semplice aula, slargata con due absidi quattrocentesche superstiti, che lasciano intendere vi fosse quella di testa, che avrebbe dato forma ad una pianta trìcora, come fosse un trifoglio.
Reliquia di quei tempi quattrocenteschi è, nella cappella di sinistra, la Madonna in trono con Bambino, affresco di stile tardo-gotico inquadrato da severa cornice lignea secentesca.
La cappella-abside venne abbattuta tra il 1726 ed il ‘30, quando si slungò la chiesa per costruire un nuovo presbiterio, campo per l’erezione di un altare marmoreo a tempietto, che in misura minore sembra ispirato da quello grandioso di San Vittore.
Pochi anni prima, nel 1722, l’architetto-capomastro G.A.Speroni aveva alzato il campanile concludendolo con eleganti cadenze barocchette.
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