Non è solo un avvicendamento in una diocesi complessa come quella ambrosiana. Dal 1° settembre, don Marco Casale, riferimento delle iniziative caritatevoli della Chiesa varesina, lascerà l’incarico nelle parrocchie di San Carlo, Bizzozero, Giubiano, Bustecche e Lazzaretto per divenire prevosto di Gavirate, Comerio, Oltrona, Voltorre. Sostituirà don Maurizio Cantù, decano di Besozzo, che verrà a Varese nelle parrocchie di Biumo, San Fermo e Valle Olona. Don Luigi Pisoni sarà al posto di don Marco, che però a Varese è anche molto altro: oltre che referente della Caritas è presidente dell’Associazione (ODV) Pane di Sant’Antonio, che è l’anima della Casa della Carità, alla Brunella, realtà che è andata crescendo, giungendo a numeri importanti. “Dal 1938 al 2013, dal loro arrivo alla cessazione della loro attività a Varese, erano i frati francescani a gestire la mensa dei poveri”, ricorda oggi don Marco che è stato anche cappellano delle carceri dei Miogni. “Si trattava pertanto di incardinare i servizi nell’attività della parrocchia e guardare alle nuove esigenze con un’altra ottica. Così nasceva l’emporio, per dare un concreto aiuto soprattutto alle famiglie con minori. Nel 2015 si costituiva, a opera della trentina di parrocchie del Decanato di Varese, l’Associazione Farsi Prossimo, che affidava all’associazione Pane di Sant’Antonio, espressione dei volontari, la gestione della Casa della Carità, sostenta anche da privati e fondazioni, come la Fondazione del Varesotto”.
Oggi in quegli spazi ormai stretti sono concentrati servizi che danno un aiuto fondamentale a chi più ha bisogno. La mensa è passata dalla sessantina di pasti al giorno a un centinaio, dopo aver sfiorato i 150 nei mesi del Covi. “Siamo l’unico luogo in città dove ogni giorno dell’anno è possibile consumare un pasto caldo, equilibrato, a un tavolo”, sottolinea Matteo Aimetti, della Cooperativa San Luigi, che cura la gestione operativa della mensa. ”Prima del Covid – dice don Marco – avevamo in mensa due stranieri ogni italiano. Oggi sono quasi pari. Inflazione e lavoro povero rendono più difficile conciliare pranzo e cena e preoccupa il numero crescente di giovani, anche appena maggiorenni.”
Accanto alla mensa, che serve soprattutto chi una casa non ce l’ha, l’emporio offre un quantitativo predeterminato di alimenti e generi di prima necessità a famiglie con comprovate difficoltà. E poiché non di solo pane vive l’uomo, un servizio apprezzato, soprattutto dai senza casa, sono le docce, aperte un paio di giorni la settimana, con anche parrucchiere, così come il guardaroba dove è possibile avere un cambio di vestiti, dall’intimo fino al giubbotto. Altro servizio – chiave è quello sanitario e farmaceutico. In collaborazione con Sanità di Frontiera (SDF) l’ambulatorio accoglie immigrati sprovvisti di copertura del Servizio Sanitario Nazionale, tipicamente gli STP – Stranieri Temporaneamente Presenti ed eroga una quindicina di visite nei due turni settimanali.
Servizi che nell’ultimo anno si sono tradotti in 33.883 pasti, 612 forniture gratuite di emporio e 3.614 di guardaroba, 1780 docce, 1.016 farmaci. La Casa della Carità è un’organizzazione complessa. “I volontari sono passati in una decina d’anni da 60 a 150 all’arrivo del Covid e oggi 230: occorre coprire i turni per 365 giorni l’anno, cucinare, distribuire i pasti, curare la cucina e le pulizie, gestire il materiale delle donazioni, l’emporio e il guardaroba”, spiega don Marco. Ogni assistito è tale sulla base di colloqui iniziali e aggiornamenti, per determinare il fabbisogno e percorsi di integrazione sociale. Ai servizi ci si presenta con una card di riconoscimento “e sapere di essere conosciuti aiuta anche a una fruizione ordinata”, sottolineano nelle sale della Brunella.
Come si sostiene questa “macchina” che richiede anche alcune figure professionali? Da una parte il volontariato: “Con i colloqui si accerta che contributo può essere dato, dalle cucine al sito Internet”, risponde Matteo Aimetti. Dall’altra le donazioni di alimenti e di vestiti . “Un problema è il fresco, che è parte di una dieta equilibrata”, spiegano visitando le cucine e dove non arrivano le donazioni dei supermercati (“invenduto e non cibi scaduti”) occorre aprire il portafogli. “Le spese vive – dice don Marco – sono dell’ordine dei 260 mila euro l’anno. Diecimila euro arrivano dal Comune, poi abbiamo la raccolta fondi, le donazioni, i proventi del 5 per mille, ma è una sfida tutti i giorni. Parlare di Provvidenza non è improprio”.
Che succederà ora? “In questa fase io rimango a servizio della Casa della Carità”, risponde don Marco, che come parroco a Gavirate-Comerio entrerà nel Decanato di Besozzo. “Per il futuro valuteremo insieme ai soci della Pane di Sant’Antonio e alle parrocchie varesine”. Resta il principio guida, indicato nel messaggio evangelico: “Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste, fui nudo e mi vestiste”. Fatti, non parole.
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