Che aspettative bisogna avere per il recupero della EX Aermacchi in via Sanvito a Varese? La novità in questo momento è che la Soprintendenza ha inviato alla proprietà una lettera che ha queste finalità: “Una riflessione sull’opportunità di non realizzare il secondo piano all’interno dell’hangar del 1952”. Il privato ha detto di no perché il cambiamento modificherebbe di molto i piani di sviluppo dell’area, manifestando l’intenzione di valutare se andare avanti ancora con il progetto.
L’impressione che ho è quella che si possa solo accettare il piano di recupero concordato dall’attuale proprietà dell’ex edificio industriale e il Comune di Varese. Infatti da più parti viene detto che se non verrà attuata alcuna miglioria la situazione attuale è destinata a rimanere la stessa, se non a peggiorare progressivamente.
Ciò detto siamo allora in una situazione in cui, se si volesse guardare al futuro non si potrebbe far altro che accettare il “niet” della Soprintendenza. È giusto questo? Secondo me assolutamente no. Quello che, mi rendo conto, unicamente leggendo la stampa e non essendomi stati mandati i documenti richiesti né dalla Soprintendenza né dal Comune di Varese, è che sia mancato il dialogo necessario e tra il Comune di Varese e la Soprintendenza e, d’altra parte, il rapporto tra la proprietà e la Soprintendenza stessa.
Secondo la convinzione che posso essermi fatto non credo che la Soprintendenza abbia detto qualcosa di nuovo ora. Essa aveva messo dei paletti assolutamente chiari rispetto alla necessità che si dovessero mantenere delle porzioni storiche dell’Ex Aermacchi e non dovesse essere fatta quella tabula rasa che costituiva il progetto iniziale contro il quale mi sono subito schierato. Il futuro non poteva prescindere dal passato. Questo non andava cancellato ma dovevano essere conservati tutti quei manufatti in grado di poter individuare quegli elementi che indicassero l’evoluzione del saper fare varesino che ha avuto successo in tutta la nazione.
La richiesta della Soprintendenza – secondo le prime valutazioni – è finalizzata a mantenere all’interno dell’hangar l’effetto creato dalla copertura a volta, che presenta delle aperture in cui entra la luce, creando un particolare e suggestivo effetto di ampiezza e profondità. «Un secondo piano farebbe perdere la profondità, vanificando il vincolo di tutela e la conseguente necessità di conservare l’hangar – spiega Katia Accossato, architetto e docente del Politecnico di Milano, sede di Lecco, che ha studiato il sito anche con i suoi studenti - Il mio augurio è che si conservi anche la percezione degli spazi, perché un eccessivo utilizzo potrebbe rendere invisibile all’interno le strutture degne di essere valorizzate». Non credo che ci sia ora una richiesta nuova ma soltanto una specifica che doveva essere tenuta in conto e non ignorata.
Non posso, quindi che essere d’accordo con la Soprintendenza e con la docente del Politecnico di Milano e chiedo ancora una volta che quando devono essere assunte decisioni riguardanti immobili in cui sono state svolte attività per la valorizzazione della città siano fatti degli studi seri e autonomi riguardo il passato e che soprattutto siano sentiti i cittadini.
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