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Pensare il Futuro

UN ALTRO MONDO

MARIO AGOSTINELLI - 28/06/2024

onuIl Programma sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (UNDP) in base al più grande sondaggio d’opinione pubblica sul cambiamento climatico, rivela che l’80% delle persone in tutto il mondo vuole che i propri governi adottino misure più forti contro la crisi climatica.

L’indagine, condotta dalla società americana Geopoll e dall’Università britannica di Oxford, ha coinvolto più di 73.000 individui, in 77 Paesi e rappresentanti l’87% della popolazione mondiale.

Sono state rivolte 15 domande progettate per aiutare a capire come le persone sperimentino gli effetti del cambiamento climatico e come vogliano che i leader mondiali rispondano.

I cittadini di tutto il mondo vogliono che i loro leader lavorino oltre le loro differenze e agiscano con urgenza, con coraggio, per combattere l’inaudito aumento che si registra nella temperatura della Terra.

Inoltre, l’86% vuole che i propri Paesi mettano da parte le differenze geopolitiche e lavorino insieme sul cambiamento climatico, un livello di consenso sorprendente, dato l’attuale contesto globale di conflitto e il crescente nazionalismo.

Una maggioranza del 66% è stata registrata negli Stati Uniti e in Russia, il 67% in Germania, il 73% in Cina, il 77% in Sud Africa e India, l’85% in Brasile, l’88% in Iran e fino al 93% in Italia.

Il massimo di consensi è venuto dall’Africa sub-sahariana (88%) e dall’America Latina e Caraibi (86%).

In cinque grandi Paesi emettitori (Australia, Canada, Francia, Germania e Stati Uniti), le donne sono più favorevoli a rafforzare gli impegni del proprio Paese con una differenza compresa tra 10 e 17 punti percentuali.

Il sondaggio mostra che una maggioranza del 72% sostiene una rapida transizione verso l’eliminazione graduale dell’uso dei combustibili fossili, anche tra i primi 10 produttori di petrolio, carbone o gas.

Maggioranze favorevoli a questa rapida transizione si sono registrate nell’89% in Nigeria, nell’80% in Cina, nel 76% in Germania, nel 75% in Arabia Saudita, nel 69% in Australia e nel 54% negli Stati Uniti. Solo il 7% delle persone a livello globale ritiene che il proprio Paese non dovrebbe attuare alcuna transizione.

Nei nove piccoli Stati insulari in via di sviluppo intervistati, ben il 71% della popolazione ha dichiarato di essere più preoccupato rispetto allo scorso anno per il cambiamento climatico, che porta, tra gli altri problemi, aumento delle tempeste, innalzamento del livello del mare e acidificazione degli oceani.

Tra gli intervistati in tutto il mondo, il 69% ha affermato che gli impatti dei cambiamenti climatici influenzano le loro decisioni più importanti, come dove vivere o lavorare. La proporzione è più bassa nell’Europa occidentale e settentrionale e nel Nord America, e più alta nei Paesi meno sviluppati situati nel sud.

Il direttore del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Oxford, ha sottolineato che lo studio ha compiuto “sforzi particolari per includere persone provenienti da gruppi emarginati nelle parti più povere del mondo”, per avere dati globali di migliore qualità sull’opinione pubblica riguardo al cambiamento climatico.

Interessanti anche le raccomandazioni finali del rapporto UNDP. Si afferma infatti che la chiave per l’efficacia di tutte le iniziative politiche, compresa quella sul clima, consiste nella creazione di un’unità su vasta scala di attori politici e sociali democratici, combinata con un’agenda popolare lungimirante che catturi l’immaginazione. Occorre costruire quindi un’opposizione combinata al potere autocratico e alle politiche antipopolari proponendo un’ampia gamma alternativa di proposte sociopolitiche incentrate sulle persone che siano attraenti come contro-narrativa positiva.

In definitiva, i movimenti che si battono per il clima devono avere un carattere “politico di massa”, che unisca classi e settori sociali diversi della società attorno a preoccupazioni condivise. Se si riflette, non si può che riconoscere che questa è stata l’ispirazione fin dall’inizio della “Laudato Si’” e la ragione della dura reprimenda di Francesco nei confronti della negligenza dei gruppi dirigenti mondiali contenuta nella “Laudate Deum”.

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