Prima di mettere nero su bianco alcuni miei pensieri riguardanti il “premierato”, ho avuto alcune perplessità.
Mi spiego meglio. Io ho una cultura politica democristiana, magari non ortodossa, ma il mio background è quello e ne vado fiero. La cultura politica DC è sempre stata per la centralità del Parlamento, per l’equilibrio dei poteri, per la ricerca della mediazione, per la moderazione e per il rifiuto dell’uomo (o della donna) forte, sia al vertice del Governo sia e forse anche di più nel partito. E, aggiungerei, la convinzione che il rapporto capo versus popolo nel nostro Paese non ha mai portato bene.
Ai più avvezzi alla storia e alle vicende della Balena Bianca come non ricordare il tentativo di Fanfani di governare il partito e fare contemporaneamente anche il Presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, fallito per l’opposizione interna proprio perché nella “cultura” DC la DC era “repubblicana” e mai “monarchica”. E quindi lascio immaginare quanta allergia c’è in quella cultura e nella mia verso i partiti personali e la personalizzazione della politica.
E forse questo è anche alla base dell’insuccesso nel ‘92 del PPI di Mino Martinazzoli, nel turbamento della “transizione infinita”, come avrebbe detto De Rosa.
Ma, per riprendere la riflessione sul “premierato”, diciamocela anche tutta. L’attuale proposta è scritta da analfabeti costituzionali, da politici che hanno messo le mani ad un testo già di per sé squilibrato e soprattutto è sostenuta da propagandisti.
Non voglio addentrarmi qui ed ora negli aspetti tecnici della riforma, ma vorrei provare a fare un paio di riflessioni “scandalizzando” qualche presunto difensore della sovranità popolare. La premier Meloni e i suoi stanno buttandola su un unico concetto: “basta giochi di Palazzo. Restituiamo ai cittadini il diritto di scegliere da chi essere governati”. E su questo probabilmente si concentrerà l’intero messaggio al referendum quando gli italiani saranno chiamati ad esprimersi.
Ebbene, io penso che non ci sia niente di più falso e niente di più riduttivo di questo messaggio rispetto alla complessità di una riforma.
Mi spiego. Personalmente aborro l’elezione diretta del PdC. L’unico Paese che l’ha sperimentata è stato Israele e sono tornati ben presto indietro perché è stato un fallimento. Ritenere che il voto popolare, anzi, il plebiscito a favore del candidato premier sia neutrale rispetto al Presidente della Repubblica è pura propaganda. Il voto popolare a favore del primo delegittimerebbe il secondo, eletto dal Parlamento e questo lo sanno anche i sassi. Ma veniamo ai fatidici “giochi di Palazzo”. Anche qui qualche pensiero va speso. Si raffigura il sistema parlamentare come una sorta di concentrato di complottisti che passano la giornata a capire come far cadere il governo. Io penso, invece, che il sistema parlamentare, soprattutto in un Paese come il nostro, sia il sistema che meglio si può estraniare dai fumi della campagna elettorale, dal settarismo e che, nel momento in cui vengono meno il consenso o la capacità di tenuta di una maggioranza politica, sappia trovare le soluzioni, la via di uscita senza ricorrere necessariamente al voto come catarsi.
Ma il tema è anche un altro. Il Parlamento è il luogo, la stanza di “raffreddamento” rispetto alla piazza e alle campagne elettorali. Ed è anche il luogo dove la “saggezza” del Capo dello Stato può essere esercitata in maniera soft rispetto a chi pensa che la politica sia solo esposizione muscolare di forza e potenza. E questo anche ricorrendo a personalità esterne come sono stati Monti o Draghi. Mi chiedo: perché dovremmo privarci di queste possibilità e far passare i civil servant come “biechi personaggi” messi lì da qualche potere forte o uomo nero.
Insomma, se si vuole dare più stabilità al Governo si faccia la sfiducia costruttiva, ma pensare di ricorrere alle urne con la demagogica idea di “restituire ai cittadini il diritto di scegliere da chi essere governati” a me pare l’ennesima bufala che nasconde solamente la cultura di destra che non ha mai saputo proporre null’altro che l’idea del plebiscito sull’uomo o la donna forte nella logica, del rapporto diretto capo versus popolo senza alcune intermediazione (leggasi Parlamento). Cosa che i nostri Costituenti, nella loro immensa lungimiranza, hanno saputo scartare fin dall’inizio.
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