Lo chiamano Savonarola di Varese paragonandolo all’incendiario predicatore che nella Firenze di fine ‘400 accusò Alessandro VI, papa Rodrigo Borgia, di essere la personificazione del male, libertino, nepotista, incestuoso e guerrafondaio. Mal gliene incolse. Il frate domenicano finì scomunicato per eresia e scisma, processato, condannato a morte e bruciato in piazza della Signoria il 23 maggio 1498 senza rimangiarsi una parola delle accuse da cui nacque la leggenda nera dei Borgia. Una leggenda tutt’altro che infondata. Altri tempi, altri papi. Monsignor Carlo Maria Viganò dà dell’eretico a papa Francesco, lo accusa di nutrire simpatie luterane, di causare una delle peggiori crisi della Chiesa cattolica, lo definisce usurpatore e figlio di Satana, nega validità alla sua elezione e ne chiede da anni le dimissioni perché la Chiesa sarebbe “in sede vacante”.
Ribelle fino all’ultimo, l’ostinato presule fa sapere dal probabile rifugio svizzero di San Bernardino, ai piedi dell’omonimo passo alpino in Mesolcina dove possiede una casa, che non risponderà alla convocazione dell’ex Sant’Uffizio: “Non ho alcuna intenzione di sottopormi a un processo farsa in cui coloro che mi dovrebbero giudicare imparzialmente per difendere l’ortodossia cattolica sono allo stesso tempo coloro che io accuso di eresia, di tradimento e di abuso di potere”. Eppure il Dicastero della Dottrina della Fede con lui ha usato molta pazienza, avrebbe preferito ignorarlo e rompe ora il silenzio dopo anni di accuse rivolte al pontefice. Viganò rischia la scomunica di fatto latae sententiae, di essere spretato ed espulso dalla Chiesa cattolica.
Nelle dichiarazioni pubbliche ha ripetutamente negato la legittimità del papa e rifiutato il Concilio Vaticano II che considera un “cancro teologico, morale e liturgico”. Deve rispondere del delitto di scisma ma non si presenterà al processo canonico e sarà giudicato in contumacia. Non avrà neppure la solidarietà di cardinali e vescovi tradizionalisti che ritengono si sia spinto troppo oltre. Dalla sua crociata complottista prende le distanze anche la Fraternità San Pio X creata da monsignor Marcel Lefebvre, l’arcivescovo francese che contestava la libertà religiosa e la soppressione della messa tridentina sancita dal Vaticano II e che per questo fu sospeso a divinis nel 1976 da Paolo VI e scomunicato nel 1988 da Giovanni Paolo II.
La Chiesa di Francesco è più accogliente e pastorale che dogmatica, attenta ai sentimenti degli omosessuali (al netto delle battute sulla frociaggine di cui il papa si è scusato), aperta ai divorziati che vogliono costruire una nuova famiglia e alle donne che ambiscono al diaconato. Un concentrato di tutto ciò che Viganò combatte.
Nato a Varese il 16 gennaio 1941 in una famiglia dell’alta borghesia industriale del ramo siderurgico, fu ordinato sacerdote nel 1968, è arcivescovo dal 1992 su nomina di Karol Woytjla e nunzio a Washington nel 2011 per volere di Joseph Ratzinger. Una brillante carriera curiale prima di prendere la strana deriva. Fallito l’obiettivo di diventare cardinale e persa la speranza di concorrere per il papato, Viganò vuole forse guadagnare un riconoscimento storico di riformatore come Lutero e Calvino ma si ritrova isolato da tutti. È un entusiasta trumpiano con simpatie per Putin e un convinto no vax, persuaso che un complotto nel 2000 volesse asservire i popoli e favorire l’Anticristo attraverso l’imposizione di mascherine e green pass.
Con le teorie cospirazioniste è diventato un simbolo dell’epoca di violente discordie che viviamo. La ribellione contro l’autorità del papa regnante, a cui dovrebbe obbedienza e da cui reclama l’ortodossia che egli per primo infrange, è solo uno dei focolai di rivolta che in questo momento avvelenano il pianeta. Le comunità umane sembrano avere bisogno di individuare un nemico e il virus mette a rischio la pace nel mondo. Dai nazionalismi estremi ai reticolati che si alzano ai confini di Paesi che si dicono cristiani, dall’intolleranza politica alla insensibilità ambientale scompaiono i valori di solidarietà e di fratellanza.
Per comprendere le rivolte di Viganò, dell’arcivescovo Burke e di altri rappresentanti del clero non solo americano bisogna forse rileggere le parole del teologo gesuita Bartolomeo Sorge, morto nel 2020 all’Aloisianum di Gallarate: “Il dissenso è inevitabile, Bergoglio sta facendo pulizia, è il primo papa postconciliare che affronta direttamente la riforma interna della Chiesa. Chi lo critica, critica il Vaticano II, di eretico in lui c’è solo il coraggio con cui agisce. La riforma fa emergere gli scandali, la pedofilia e la mala gestione delle finanze ma la giustizia è parte essenziale dell’evangelizzazione”.
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