“MiVa” racconta “la lunga storia d’amore tra Milano e Varese”, un rapporto ultramillenario che ho ricostruito con il collega Federico Bianchessi, milanese d’origine e varesino d’adozione, per le edizioni dell’amico Pietro Macchione. E se nella storia d’amore c’è stata qualche eccezione nello sport, basti pensare agli appassionanti confronti tra Ignis e Simmenthal al vertice del basket italiano, quel che è certo è che tra Milano e Varese non c’è mai stata guerra, anzi, tra la capitale morale d’Italia e la terra delle Prealpi e dei laghi si è assistito a un costante scambio di risorse umane e finanziarie, a cominciare dalla costruzione della cattedrale della diocesi ambrosiana e del Sacro Monte varesino.
Un capitolo del libro è dedicato a quante menti e a quante braccia del Varesotto abbiano contribuito a erigere e decorare il Duomo di Milano. Fu l’architetto Carlo Buzzi, nato verso il 1585 a Viggiù come tanti “picasass” impegnati nella Veneranda Fabbrica, a far prevalere la sua visione stilistica neo-gotica nella controversa questione della facciata, realizzata due secoli dopo come l’aveva progettata lui. Alla decorazione del Duomo hanno collaborato tra gli altri il pittore Michelino da Besozzo, lo scultore Jacopino da Tradate e Agostino Busti detto il Bambaia, senza dimenticare le vetrate dei Bertini, l’organo maggiore dei Mascioni e il portale di Lodovico Pogliaghi, milanese d’origine e sacromontino d’adozione. E il Sacro Monte, patrimonio dell’umanità, può vantare un Santuario eretto nel suo aspetto attuale grazie alle risorse messe a disposizione dagli Sforza, duchi di Milano.
Nei venti capitoli del volume, che propongono un quadro d’insieme a un tempo sintetico e ricco di particolari, si ricostruiscono in modo rigoroso ma non pedante le vicende di protagonisti dei mondi della Chiesa, dell’industria e della politica, dell’arte e dello spettacolo, dello sport e della cucina che hanno incarnato nella loro esistenza l’appartenenza all’area vasta compresa tra i Navigli e la terra dei laghi. Il lettore è indotto a seguire gli itinerari dei mercanti e dei viaggiatori di ogni epoca in carrozza, automobile, treno, tram, funivia e battello, ad assaporare le varietà dialettali di meneghino, bosino e bustocco quando ci si mette a tavola, ad ascoltare i mattatori della lirica ma anche quelli del cabaret, a rivedere i programmi televisivi, i volti degli attori, ad ascoltare i musicisti, sempre nella dimensione di un diffuso e fruttuoso pendolarismo umano e sociale, economico e culturale.
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