Imprescindibile appuntamento estivo è per tutti quello con la dichiarazione dei redditi nelle sue diverse articolazioni. Tra queste l’otto per mille che è la quota di imposta sui redditi soggetti all’IRPEF che lo Stato distribuisce tra se stesso e le confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa in merito. Ciò accade da quando è entrato in vigore l’accordo di revisione concordataria (Villa Madama, Roma 24 febbraio 1984) e successive disposizioni tra la Repubblica italiana e la Santa Sede. Fu una svolta decisiva nel processo di attuazione della riforma concordataria che ha anche portato al nuovo sistema di sostegno economico alla Chiesa e al clero. In applicazione, per quanto riguarda la Chiesa, delle decisioni del Concilio Vaticano II che, in linea di principio, affidava infatti il sostegno dell’intera comunità alla corresponsabilità dei fedeli laici.
Attualmente le confessioni religiose che beneficiano dell’otto per mille sono dodici. Alla Chiesa cattolica va circa il 70 per cento del ricavato mentre allo Stato resta circa il 30 per cento. Bisogna però ricordare che i contribuenti non sono obbligati a scegliere a chi indirizzare la loro quota parte. In mancanza di tale opzione la somma priva di destinazione viene comunque ripartita tra i beneficiari ufficiali in base a un non semplice meccanismo di ripartizione. Lo scorso anno il gettito dell’otto per mille destinato alla Chiesa cattolica è stato così speso: 403 milioni di euro per il sostentamento degli oltre 32mila sacerdoti presenti in Italia; 352 per esigenze di culto e pastorali che comprendono anche interventi su beni culturali ed ecclesiastici; 243 per esigenze di carattere caritativo e solidaristico.
Si tratta ormai di un percorso consolidato che, oltre ad aver risolto la delicata e storica questione del sostentamento del clero, ha sancito il grande principio della libertà religiosa per lo Stato italiano riconoscendone la sua completa laicità. Pochi ricordano che artefice, ideatore e organizzatore di questo storico processo di riforma è stato, con altri esperti, il cardinale varesino Attilio Nicora, giurista e pastore di grande livello umano e culturale (1937- 2017).
Mentre era vescovo ausiliario della Diocesi di Milano venne scelto, per la parte vaticana, quale presidente della Commissione paritetica per gli Enti e i beni ecclesiastici. Il professor Francesco Margiotta Broglio lo era invece per la parte dello Stato italiano. La legge di riforma n. 222 uscita dai lavori della commissione viene approvata il 20 maggio 1985. Nei suoi settantacinque articoli contiene “le disposizioni sugli enti e i beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero al servizio della diocesi”.
Monsignor Nicora, protagonista della riforma, si trasferisce definitivamente a Roma per assumere la responsabilità diretta presso la CEI del “servizio” promozionale delle nuove disposizioni. “Teniamo presente anche che questo Servizio, non senza difficoltà e polemiche, per la prima volta nella storia della Chiesa italiana utilizzò per l’informazione della gente, i mezzi di comunicazione di massa come lo spot televisivo e radiofonico” – ricorda monsignor Luigi Mistò, all’epoca stretto collaboratore di Attilio Nicora – Fu un’autentica rivoluzione che portò frutti perché il sistema funzionò e – sottolinea – sta funzionando ancora oggi grazie alla credibilità che la comunità cristiana ha saputo mostrare e grazie anche al tema della trasparenza che, quando è veramente vissuta, incoraggia tutti a contribuire alle necessità della Chiesa”.
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