Al-Ghazali cercò di dare una frenata complessiva al movimento filosofico di ispirazione greca in seno all’Islam. In Tahafut al-falasifa passa in rassegna tre eresie che nei filosofi comportano l’accusa di empietà e credulità: 1) l’eternità dell’universo; 2) la negazione della conoscenza dei particolari da parte di Dio; 3) il rifiuto ad ammettere la resurrezione dei corpi.
Per ibn-Rushd invece tutto ciò che ha inizio ha una fine, tutto ciò che ha una fine, deve avere un inizio. Non si può parlare di un infinito in atto.
Par al-Ghazali il mondo ha avuto una creazione temporale, il tempo è stato creato con il mondo. Per ibn-Rushd non è possibile differire la comparsa dell’effetto di una causa, il problema consiste nel sapere se l’atto divino (la creazione dell’universo ) è una conseguenza necessaria della natura stessa dell’essenza divina. Linea di difesa: Dio non è mai esistito completamente da solo; l’esistenza di altri esseri ha preceduto quella dell’universo; l’universo fu creato a partire da un ammasso di fumo (Corano 41,11); un altro universo succederà al nostro; l’idjma (il consenso della comunità musulmana su un punto) che al-Ghazali utilizza per stabilire la dottrina del carattere avventizio dell’universo, non è valida perché esclude sistematicamente i filosofi che sono anche loro dei mujtahidun (coloro che si sforzano di comprendere il senso e l’orientamento della giurisprudenza dei predecessori o degli studiosi contemporanei). L’agente (Dio) deve essere tale che la sua potenza sia proporzionata alla sua volontà e la sua volontà alla sua saggezza, perché se ciò mancasse la sua capacità sarebbe più debole della sua potenza, la sua potenza più debole della sua volontà e la sua volontà più debole della sua saggezza.
Nel caso di potenze minori di quelle di altri sarebbero soggette come le nostre alle imperfezioni (pensiero blasfemo). Per Aristotele tutto ciò che esiste nell’universo deve la sua presenza a quella potenza che proviene da Dio: se venisse meno, le cose non durerebbero un battito di ciglio. Dio sa tutto e non ignora nulla, la sua conoscenza trascende le categorie spazio-temporali: la relazione tra l’intelletto e l’intelligibile può cambiare senza che intervenga alcuna mutazione in Dio. Dio conosce i particolari con una conoscenza eternamente costante e immutabile. La scienza divina è produttrice dell’essere, cioè genera l’oggetto intelligibile, la scienza umana è successiva alla cosa intelligibile.
In merito alla resurrezione dei corpi ibn-Rushd si rivela contraddittorio: accetta l’idea di resurrezione, ma in corpi diversi da quelli che attualmente abbiamo; non è da rifiutare una interpretazione allegorica (però non tutti i passi la consentono). Avicenna non ha negato il principio della resurrezione, si è limitato a esprimere riserve sulla modalità. Ibn-Rushd nell’Epitome dell’anima respinge in modo perentorio la resurrezione.
You must be logged in to post a comment Login