Dai risultati delle Elezioni Europee sembra tenere la maggioranza attuale centrista che sostiene Ursula von der Leyen, ma lo scenario si complica con l’avanzata delle destre, il crollo dei Verdi e il malcontento per molte politiche varate da Bruxelles.
Ursula von der Leyen, sulla carta, dovrebbe avere la possibilità di guidare per un secondo mandato la Commissione europea, ma l’ascesa delle destre soprattutto in Francia e Germania potrebbe rimettere in discussione gli attuali equilibri politici.
A complicare le possibili alleanze tra partiti, con ogni probabilità interverranno i temi ambientali del Green Deal, criticati da molti esponenti conservatori dello stesso Partito popolare, mentre i Verdi hanno perso la spinta ricevuta alle precedenti elezioni europee.
Crescono invece Conservatori e Riformisti (ECR, cui aderisce Fratelli d’Italia), il gruppo Identità e Democrazia (ID, cui aderisce la Lega), così come i membri non allineati ad alcun gruppo, che in complesso raggiungono 99 seggi, 37 in più rispetto al 2019.
I risultati italiani, vedono Fratelli d’Italia in testa, davanti a PD e M5S, mentre Forza Italia e Lega viaggiano entrambi sul 9% e si nota il 6,7% ottenuto da Verdi/Sinistra.
Poiché un candidato designato alla presidenza dell’esecutivo Ue ha bisogno di almeno 361 voti in Parlamento, per essere eletto, la maggioranza centrista di von der Leyen potrebbe tenere: sommando i seggi provvisori di EPP, S&D e Renew, infatti, si arriva a 402 (ricordiamo che nel 2019 von der Leyen ottenne 383 voti per la sua candidatura).
Sommando ancora i seggi dei Verdi, l’ipotetica maggioranza von der Leyen salirebbe a 454 parlamentari, più che sufficienti a garantire una certa stabilità al suo lavoro, anche in caso di defezioni interne su alcuni provvedimenti del nuovo esecutivo.
Ci sono però diverse variabili da considerare.
Se von der Leyen farà il suo secondo mandato a Bruxelles, non potrà ignorare i segnali politici emersi dalla tornata elettorale, in primis l’avanzata della destra estrema in Francia e Germania.
In Francia il Rassemblement National di Marine Le Pen è il primo partito e ha doppiato quello del presidente Macron, tanto che lo stesso Macron ha deciso sciogliere la Camera e andare a nuove elezioni il 30 giugno. In Germania l’Afd ha sorpassato i socialdemocratici del cancelliere Scholz, diventando il secondo partito dietro i cristiano-democratici.
Con le destre così forti nelle principali potenze economiche europee, contando anche la piena conferma in Italia del partito di Giorgia Meloni, il prossimo ciclo politico europeo dovrà essere più attento a gestire le spinte del malcontento popolare, che ha agitato le acque elettorali.
In questo scenario, molte politiche “verdi” sono state percepite dai cittadini come imposizioni dall’alto. Certamente il prossimo esecutivo dovrà rispondere in modo più efficace alle sfide economiche e sociali del Green Deal: realizzare una transizione energetica e ambientale equa, ben finanziata e in grado di appianare le disuguaglianze, spiegando alle persone perché è importante, oltre che conveniente, fare il “ricambio tecnologico”
Bruxelles avrà la forza di farlo? Se si ragiona con un minimo di responsabilità, si può ben comprendere come elezioni cui hanno partecipato meno della metà degli elettori non faranno certo cambiare corso al cambio climatico, reso così brusco e ormai terrificante nei suoi aspetti – anche vicino alle nostre abitazioni – proprio dal comportamento senza misura degli uomini e delle donne che hanno prestato così poca attenzione al grido allarmato ma del tutto realistico della Laudato Sì di Francesco.
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