Impensabile che l’Italia, il cui governo esce consolidato dal voto per Strasburgo, resti fuori dalla partita della Commissione Ue. Significherebbe contar nulla nei prossimi anni, e saranno anni difficili, importanti, epocali. Dunque, dentro. Assolutamente dentro. Al netto di ideologie, schieramenti partitici, questo e quello. Meloni non ha ancora esplicitato il suo determinismo in tal senso, ma sarebbe sorprendente/inspiegabile se s’atteggiasse in modo diverso.
Avanti dunque con la realpolitik. Mica occorre essere un Bismarck per attuarla. Basta essere gente pratica. Lei lo è. Ne sono dimostrazione i buoni rapporti tenuti con la presidente uscente dell’esecutivo di Bruxelles, Ursula von der Leyen: i tanti saluti agli estremisti tedeschi di Afd: le differenziazioni in Italia col socio/rivale Salvini. Eccetera. Dunque Giorgia andrà al tavolo delle trattative, al prezzo di spaccare il gruppo dei conservatori (Ecr) di cui è virtuale leader dopo esserne stata presidente. Se ne facciano una ragione: Fratelli d’Italia si smarcherà il necessario a stringere patti mirati a ottenere nomine di peso (Giorgetti agli Affari economici, per esempio, costringendo Salvini a votarlo). Non da escludere che l’operazione favorisca anche un frazionamento dentro Identità e democrazia, il gruppo cui appartiene il capo leghista. Sarebbe un bene di valenza generale.
L’occasione che si offre alla premier è irripetibile. Le consente d’evolversi verso l’aspirazione ad essere statista; di chiudere i conti con imbarazzanti eredità del passato; di affermare una primazìa istituzionale non solo dovuta ai numeri, ma conseguenza del suo standing internazionale. Risultato che l’aiuterà nel rimescolare le carte a Roma, perché tutti sanno quanto poco l’inquilina di Chigi sia soddisfatta d’alcuni ministri. Il progetto di cambiarli deriverà dall’esito dell’operazione Europa, cui certo è favorevole anche l’opposizione italiana. Conviene a chiunque, a Schlein per prima, che il Paese si rafforzi fuori dei confini, specie mentre l’asse Germania-Francia ha ceduto e va aprendosi un capitolo nuovo nei rapporti dentro il mondo dell’occidentalismo storico. Se infine il Von der Leyen bis dovesse stentare nell’abbrivio, Meloni ha da giocare una carta nelle mani di nessun altro dei suoi colleghi: quella di Mario Draghi. Se ne è discusso, raccontano, in via riservata durante pour-parler laterali al G7 di Borgo Egnazia. E lì nessuno spende parole inutili.
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