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Apologie Paradossali

DERIVA CULTURALE

COSTANTE PORTATADINO - 07/06/2024

L’arcivescovo Delpini: “Abitiamo il Paese dell’Incompiuto”

L’arcivescovo Delpini: “Abitiamo il Paese dell’Incompiuto”

(S) Mi chiamate a partecipare ad un dibattito sul momento politico, ma confesso subito che non mi ci raccapezzo. Europa premierato, autonomia regionale differenziata, pace nel mondo… mi manca un criterio unificante.

(C) Non posso darti torto, ma non possiamo smettere di cercare un giudizio vero. Bada però, non deve essere necessariamente assoluto e definitivo, non stiamo parlando di dogmi, ma di contingenze storiche. Non so nemmeno se l’incertezza presente sia dovuta a una confusione, come un trovarsi nella nebbia, o ad essere ad una svolta, al non vedere quello che c’è dietro l’angolo.

(O) Vecchi e passatisti! Timorosi del nuovo. Preoccupati delle sfide che la realtà presenta in continuazione. Sempre nuove e per questo affascinanti.  È dalle contraddizioni che nasce la soluzione. Forse, ripeto forse (non ho la pretesa della profezia) se vedremo la soluzione della tragedia israelo-palestinese sarà proprio grazie all’accentuarsi delle sofferenze da ambedue le parti. L’intollerabilità della sofferenza aprirà lo spiraglio della trattativa e del reciproco riconoscimento come soggetti di diritto. E possiamo sperare che lo stesso accada in Ucraina; sono sicuro che la minaccia nucleare di Putin manifesti l’essere arrivato anche qui ad un punto di sofferenza tale da percepirne l’intollerabilità.

(S) Sì, speriamo. Ma intanto abbiamo anche i nostri problemi interni, non credo si debba arrivare ad un tale livello di sofferenza per venire ad una conclusione.

(C) Non siamo allo stesso livello di sofferenza morale, ma se pensiamo alla capacità di tenuta istituzionale, non siamo lontani da un punto di rottura. Non solo il turpiloquio, ma più ancora la diversa valutazione che se ne fa dalle opposte sponde manifesta l’insopportabilità della situazione. Purtroppo la strada che le parti contrapposte hanno scelto per venirne a capo, cioè la vittoria elettorale, sarà un rimedio peggiore del male. Confermerà ciascuna parte nella strategia di delegittimazione dell’altra, confermerà l’impossibilità della creazione di un ‘centro’ come luogo di raccordo e di dialogo. Non possiamo, intendo dire, affidarci semplicemente al voto, in questo contesto dominato dalle pregiudiziali reciproche. Rischiamo di dare ragione agli astensionisti.  Ricorro al paradosso: oggi ci è impossibile scegliere tra i programmi dei partiti, che sono gonfi di affermazioni emblematiche, ma irrealistiche, prima ancora che ideologiche, in un certo senso né vere né false, non verificabili. Dovrebbe essere la gente a dettare ai politici l’agenda programmatica. Ma ci mancano gli strumenti per elaborare il messaggio e per comunicarlo.

(O) A modo loro, l’hanno fatto gli studenti universitari, persino gli americani, dichiarando l’intollerabilità della guerra a Gaza.

(S) Mah, per mie solide convinzioni, corroborate dalle osservazioni di Federico Rampini che vive sul posto, credo che sia la manifestazione di una crisi d’identità, una deriva culturale dell’intero Occidente, particolarmente grave nei Paesi anglosassoni in quanto ex-colonialisti ed ex schiavisti.  Una crisi che conduce a pensare che la nostra democrazia sia solo formale e che debba ‘disarmarsi’ sia materialmente sia culturalmente.

(C) Limitiamoci per ora a considerare solo uno dei problemi evocati in premessa da Sebastiano: l’Europa. Il vescovo Savino, vicepresidente della CEI, conclude così l’intervista a Repubblica: “Vorrei che da queste elezioni venisse fuori un’Europa a due polmoni: la sovranità europea e la sovranità nazionale non in contrapposizione ma in un rapporto di reciprocità e corresponsabilità”.

Eccellente auspicio, ma occorrerebbero contenuti più creativi del desiderio di solidarietà e inclusione. Ci dice qualcosa di più Giovanni Orsina nell’intervista al Messaggero «È dotarci di un’identità, mettendoci nelle condizioni di non dividerci. L’Ue non deve rinnegare la propria anima, non può certo passare da potenza normativa a potenza aggressiva. Ma deve tornare a saper pensare il potere e il conflitto – dopo decenni passati a esorcizzare l’uno e l’altro… Per questo penso che la prossima legislatura europea dovrà trovare delle soluzioni istituzionali innovative”

(O) Manca ancora qualcosa, non utopistico, necessario: agire come operatori di pace, pur attraverso la costituzione di strumenti efficaci di difesa, come già auspicava De Gasperi, tradito dal nazionalismo francese, che non ratificò la Comunità Europea di Difesa. Ce lo ricorda Simona Beretta. “L’Europa non può essere solo un progetto tecnocratico, col suo disegno istituzionale, il suo apparato di bilancio e la sua capacità operativa. La tecnica è necessaria, come le istituzioni e le risorse per attuare azioni comuni; ma la tecnocrazia è una malattia grave. Per questo credo sia necessario trovare oggi vie di dialogo con chi davvero ha a cuore l’urgenza della pace... Proprio come disse Giovanni Paolo II quando tenne il memorabile discorso sull’Europa a Santiago de Compostela. Il mondo era ancora diviso in blocchi e il crollo del Muro di Berlino un sogno impossibile, ma lui insisteva su una sola cosa: la riscoperta delle radici europee».

(C) Sento di dover aggiungere una considerazione più profonda, per motivare me stesso e chi mi legge, nonostante tutto,  al voto e all’impegno civile, lo faccio con parole del nostro arcivescovo Delpini, pronunciate in una più modesta circostanza, ma molto significative: «Abitiamo il Paese dell’Incompiuto perché non siamo ancora arrivati là dove vorremmo essere, vuol dire che non riusciamo neanche a dire il grazie come vorremmo dirlo. Diventa allora fondamentale continuare a darci da fare. L’incompiuto ci mortifica talvolta, perché vorremmo vedere la meta e i risultati talvolta sono mortificanti. La mortificazione di essere nel Paese dell’incompiuto, per me che sono prete, è benedetta da Dio, che ha preferito essere tra gli uomini nel Paese dell’incompiuto. Quando è morto in croce ha detto: tutto è compiuto. Ciò significa che non è il successo che ci deve animare, ma quanto vale metterci la vita».

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