Un titolo così generalizzato impone al lettore di prendere l’automobile e prepararsi ad andare in giro per la provincia, naso all’insù, per considerare l’eminenza delle torri campanarie che sono cosa ben diversa dalla torri di difesa o di segnalazione come sono, ad esempio, quella di Velate o quella, esclusa dalla visita, che sta nel recinto del Monastero delle Romite Ambrosiane a Santa Maria del Monte, e che si vede specialmente dalla vallata della Rasa.
È bensì vero che in alcuni casi le torri di difesa, cambiando i tempi da quelli delle armi a quelli più pacificati, come avvenne con gli Spagnoli nel Milanese, non vennero abbattute ma convertite, per così dire, a fungere da torri campanarie, come è il caso di quella della Badia di San Gemolo a Ganna, che a vederla da lontano sembra un manufatto realizzato tutto in un colpo ma che, a ben esaminarla, consiste di un forte, alto zoccolo di pietre ben connesse, sulle quali doveva piantarsi una struttura lignea di vedetta, perché dove sta quella che sarebbe diventata la Badia e quindi un recetto di pellegrini che venivano accolti dai Benedettini, era un punto nodale di controllo del transito da Marchirolo a Bedero Valcuvia. Da quel momento, dall’insediamento dei Benedettini, a partire dall’undicesimo secolo, fu gioco forza sopraelevare la torre e farle diventare campanile per servire di richiamo alle genti vicine e di passaggio.
Da ricordare che la Valganna non era percorsa da alcuna strada, che fu aperta soltanto sul finire dell’800, grazie al percorso tramviario che i nostri Nonni avevano avvedutamente tracciato su rotaie e che noi, nipoti, abbiamo prontamente ed insipientemente divelto.
Per semplificare si può dire che le torri campanarie dall’età del romanico (XI secolo) al trecentesco gotico, furono caratterizzate da murature in pietre e ciottoli, che davano al manufatto un tono di grigio prevalente, al più ravvivato da inserti di laterizi e di archivolti in pietra di Saltrio. Veramente esemplare è quella della
Madonna di campagna di Ligurno-Cantello.
A Castiglione Olona, nella Collegiata, le maestranze dei Solari di Carona elevarono una vera torre campanaria, come memoria del castello preesistente che il cardinal Branda ebbe il permesso di radere al suolo, tutta di laterizio, splendido segnale rosseggiante nel teatro onnipresente del verde, che al calare del sole rendeva un segnale vibrante di richiamo al pellegrino che si combinava con quello sonoro delle campane dell’Ave Maria.
Agli inizi del Cinquecento il maestro (nel senso di magister, maister) Paolo della Porta
firmò la sua torre campanaria al Santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno. Si tratta della prima affermazione rinascimentale qui da noi, dal momento che quella pur quattrocentesca di Castiglione Olona era ancora in chiave tardo-gotica. E ‘rigorosamente alzata nel fusto scandito in quattro ripiani, serrati da pilastri angolari schietti, per continuare nel quinto piano con grande finestra rettangolare ed infine con la cella campanaria sforata da due finestre per lato (non bifore), compiuta da una lanternino poligonale coperto da cupolino embricato concluso da più ridotto lanternino cieco sotto il globo che porta la croce.
È il modelle delle torri campanarie cinquecentesche per la nostra zona, dell’alto-milanese, fino a quella di Santo Stefano di Viggiù, progettata da Martino Longhi il vecchio (eretta dal 1577 al 1594). Il fusto è meno raffinato di quella di Saronno ma all’opposto alza la cella campanaria come un vero e proprio tempietto d’ordine ionico; si contraddice però con l’acuminato cono in laterizio che è memoria delle torri tardo gotiche (v. Castiglione Olona), dovuto provvidenzialmente per scaricare le forti nevicate di quei tempi, a quelle latitudini montane, meno clementi di quelle del Saronnese.
La maturazione dal rinascimento al pieno manierismo avviene grazie a Giuseppe Bernascone, il mancino, progettista della torre campanaria del Santuario di Santa Maria del Monte sopra Varese (1599) e del più bel campanile lombardo che è quello di San Vittore di Varese (dal 1617 fino alla fine del Settecento).
A Santa Maria del Monte la torre appare senza testa perché più volte i fulmini l’avevano colpita imponendo ai costruttori di ridursi alla sola cella campanaria; a Varese, la conclusione con la tipica cipolla è segno dei tempi del tardo barocchetto.
Non vado oltre perché con questo andirivieni ho finito la benzina.
Il 29 maggio a Palazzo Lombardia è stato assegnato dal presidente della Regione Attilio Fontana il premio Rosa Camuna per la cultura a Silvano Colombo. Nel suo breve intervento, Colombo ha ricordato un aneddoto: “Quando Piero Chiara m’incontrava, era solito domandarmi perché andavo sempre di corsa. Oggi gli direi: a furia di correre, sono arrivato fin qui”. Poi la conclusione dialettale: “Pussée bell d’inscì…”. A Silvano i complimenti e l’abbraccio della famiglia di RMFonline.
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