Chi ha avuto la possibilità di seguire la trasmissione di Alberto Angela “Meraviglie” lo scorso lunedì sera si è trovato coinvolto, con grande piacere, in un’esclusiva escursione attraverso gli scavi di Pompei. Il piacere è stato anche nel privilegio di essere tra i primi a penetrare nelle nuove stanze portate alla luce. Come ha voluto sottolineare al suo pubblico il giornalista esploratore, illustrando con l’aiuto degli archeologi e la tecnica del piano sequenza gli ultimi ritrovamenti nell’antica città, distrutta nel 79 d.C. dall’eruzione vulcanica.
A pochi giorni dall’apertura al pubblico dei recenti scavi, Angela ha svelato le novità penetrando tra stanze private finemente decorate, locali pubblici di ristoro, camere da letto travolte, più che sfatte, cucine con le bocche per il fuoco pronte a preparare i cibi e tanto altro.
E ancora ci ha portati a rivisitare i bagni pubblici, suddivisi in spazi per uomini e spazi per donne. E le ottime strade lastricate dove correvano i carri negli appositi solchi, dotate di colonne utili a inglobare e far defluire le acque piovane.
La tragedia immane dell’eruzione ci riporta dunque qui, e ti accorgi che quel mondo e quel tempo sono meno lontani da noi di quanto ti immagini, nel bene e nel male. Sono emerse dalle ceneri pareti azzurre con raffinatissimi disegni che fanno pensare ai cicli delle stagioni. Un luogo solare, un posto eletto fa intendere il giornalista.
Ma cosa poteva essere? Come sempre lo diranno gli archeologi che ancora ci stanno lavorando, con la massima pazienza.
Sui muri esterni della casa di fronte, quella di Asellina – un lupanare – sono anche le promesse scritte di fedeltà di chi, per personale beneficio, si faceva comprare, magari mantenere, dal politico di turno ansioso di essere eletto. Dichiarando il proposito di votare per lui. Ma questo è un dejà vu, in ogni senso.
“Asellina voterà per …” e sul muro compare a chiare lettere il nome del tizio in carriera.
Tutto ritorna.
A colpire il cuore, ci si sposta in un interno in fase di riscoperta, sono soprattutto gli oggetti della quotidianità.
Le padelle per esempio. Dalla coltre biancastra ancora intatta di macerie vulcaniche ne affiora una, smaltata di turchese, col manico lungo. Vicino è una piccola griglia per arrostire le carni. Tutto fa pensare ai momenti belli della pausa quotidiana, del ristoro familiare attorno al desco: coi profumi dei piatti e le carni fumanti avvolte nelle erbe odorose. Mentre il sole caldo del sud penetra nelle stanze.
È allora che irrompe nell’aria un diluvio inatteso di fuoco e tuoni lugubri, di cenere e fumi. Il cielo si oscura e rimarrà buio per giorni, la massa di materiale ricade sui tetti e li schiaccia.
Ecco, racconta Alberto Angela, in una stanza sono stati scovati due anziani, forse due sposi, uno accanto all’altra, e un ragazzo e un adulto vicini.
Scorrono le immagini della montagna di materiale rimosso in questi mesi dagli studiosi: perché dall’alto pioveva quel fiume di piccoli sassi infuocati, oggi grigi, che tutto ha divorato e seppellito.
I calchi eseguiti dopo secoli nelle cavità dei corpi ne riveleranno, come sappiamo, le forme e persino le pieghe dei tessuti. Si sono salvate, nell’angolo dedicato alla cottura dei cibi alcune statuette in terracotta. La telecamera ce le mostra intatte.
Perché -te lo chiedi- queste statuette piccole e fragili del tutto intatte?
Sono gli scavi di Pompei ma potremmo essere, pensi tu, in un luogo bombardato dell’Ucraina, o in Palestina: la morte passa così sempre e ovunque, passa e brucia, rasa tutto. Arriva quando meno te l’aspetti. E a volte lascia strani segnali. Vanno in fumo insieme bellezza e ricchezza, eleganza e povertà.
Ma qualche segno resta per sempre.
Racconta ancora la voce di Alberto che “Pompei è così: ora ti dà uno schiaffo, ora una carezza”. C’è il bello, come le due statuette, e come i disegni ritrovati in più di uno scavo-le splendide pitture con la storia della guerra di Troia, per esempio- e ci sono i corpi dilaniati dalle piogge roventi.
Su di un muro è rimasto il disegno minimalista di un bambino che descrive in pochi tratti la lotta dei suoi gladiatori preferiti. Proprio come farebbe oggi un coetaneo nel disegnare i calciatori del cuore. E c’è anche il contorno della manina, poggiata sulla parete, per tracciarne la sagoma. È rimasto per sempre lì. E questa è la carezza.
Appena più in là spunta il sorriso di una mandibola nuda, ghignante, sbalzata dallo scheletro.
Una carezza e uno schiaffo. Pompei è così.
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