“Uno, due… un due tre… cerchi il capo e trovi il fondo, cerchi il quadro e trovi il tondo…” così recita una filastrocca.
Cercando tra i primi tre giorni di giugno troviamo, invece, input riflessivi utili a rinforzare la nostra memoria culturale.
L’1 giugno del 1952 morì John Dewey, noto filosofo e pedagogista statunitense. Sempre il primo giugno – ma del 1968 – morì la scrittrice, insegnante e attivista Helen Keller, ben ricordata nel film Anna dei Miracoli. A lei si deve una frase drammaticamente senza tempo. «La gente non ama pensare. Se uno pensa, deve poi giungere a delle conclusioni. Le conclusioni non sempre sono piacevoli».
E molto ci fa pensare quanto scrisse nel lontano 1917 Dewey nel suo saggio “Democrazia e educazione”. Grosso modo affermava che la democrazia è «l’unico modo di vivere che permette la risoluzione dei problemi sociali etici e politici dell’umanità». A condizione che diventi non solo un compito individuale sociale ma anche un impegno morale, anzi una moralità riflessiva. Dunque inscindibile rapporto tra l’educazione e la democrazia: il che obbliga a pensare, sperando di non arrivare a spiacevoli conclusioni.
Ma l’1 giugno ci porta anche ad altri ricordi. Nel 1970, di notte, morì Giuseppe Ungaretti. Al sesto mese dell’anno il poeta aveva, quasi ironia della sorte, dedicato una struggente poesia d’amore. Fu ed è un grande poeta. Sfiorò nel 1954 il premio Nobel. Succede di non essere premiato ma può succedere anche di peggio. Ai suoi funerali non partecipò nessun politico. La causa fu per lo più politica. Qualcuno di troppo ricordava la sua adesione al fascismo che – a guerra terminata – gli procurò l’esclusione dall’insegnamento. Lui scrisse anche a De Gasperi per essere riammesso. È una parte della sua biografia che, pur con ombre, merita di essere conosciuta. Vale la pena ricordare che nel 1968 in occasione del suo ottantesimo compleanno fu festeggiato in Campidoglio alla presenza di Aldo Moro, Presidente del Consiglio. Non è una semplice curiosità se pensiamo che lo statista fu, insieme con Concetto Marchesi, tra i promotori dell’articolo 9 della Costituzione. Un articolo da rileggere per coglierne il profondo significato, cioè il valore della cultura in democrazia.
Per questo dobbiamo ricordare responsabilmente il senso della Festa della Repubblica e del referendum del 2 giugno 1946 in cui, dopo la dittatura fascista, quasi 25 milioni di uomini e donne, pari all’89,1% degli aventi diritto, andarono alle urne per scegliere tra Monarchia e Repubblica.
Sono da ricordare le parole della giornalista Anna Garofola, che si possono leggere nel saggio di Fornaro, Storia di un referendum: «Lunghe file ai seggi, non più per code per i cibi razionati ma per votare e tenere in mano le schede come bigliettini d’amore».
La croce messa sulla scheda, indicante l’immagine dell’Italia Turrita, fu l’inizio della Festa della democrazia. Ricordarne le varie tappe dalla sua istituzione fa sempre riflettere. Un esempio per tutti: il 2 giugno 1963 non si tennero né manifestazioni né parate in segno di rispetto per Giovanni XXIII, agonizzante. Il Papa sarebbe morto il 3 giugno.
La storia non è ovviamente una filastrocca ma una ricerca di senso per chi vuole trovarlo anche in questi primi giorni di giugno.
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