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Cultura

ANIMA E CORPO

LIVIO GHIRINGHELLI - 24/05/2024

sapienza2Scritto direttamente in greco da un ebreo residente in Egitto verso il 5O a.C., il Libro della Sapienza propone ancor oggi al lettore il problema della fondamentale unità psicofisica della concezione ebraica, alla luce contrapposta del dualismo tipico di quella greca, che considera su un piano dualistico il corpo rispetto all’anima immortale.

In Alessandria, come in tutto il bacino del Mediterraneo, l’eredità del platonismo sul tema specifico dell’immortalità era oltretutto sostenuta ed alimentata anche dalle credenze popolari. Nel termine psyche del Libro della Sapienza ci sono più concezioni ebraiche di quanto a prima vista appaia; nel cap. 9,15 si afferma che “il corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la mente agitata da molti pensieri”, mentre nel cap. 3,1-4 si afferma che “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le sfiora. Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura e la loro uscita dal nostro mondo una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini sembrano subire tormenti, la loro speranza è piena di immortalità”.

Gli insipienti, gli stolti (biblicamente i negatori di Dio) si fermano solo all’esteriorità, non sanno assurgere allo splendore della vita trascendente. Figure e temi dello scritto sono desunti dall’Antico Testamento a partire dall’evento dell’esodo di Israele dall’oppressione dei Faraoni (cap.11-19) e l’impostazione del discorso si caratterizza più che per l’indole filosofica per il carattere teologico e morale.

Dopo una descrizione entusiastica della pazienza, l’autore mostra come abbia guidato alla salvezza il popolo di Dio. L’immortalità beata non è la necessaria conseguenza metafisica della natura spirituale dell’anima, come si verifica nell’argomentazione platonica (particolarmente nel Fedone), quanto dono e grazia divina, comunione di vita con la stessa divinità dopo un iter terreno di privazioni ed errori, ma sempre aperto alla speranza. Ci attende una eternità non neutra.

La prima parte dell’opera (1,1-6,21) presenta la Sapienza come guida alla vita immortale per chi la segue e come testimone delle colpe per chi la ricusa. La serie dei quadri mette a confronto la condizione attuale dei giusti e degli empi e la condizione finale di fronte al giudizio di Dio, quando sarà svelata la verità delle cose, spesso mascherata dalle vicende umane.

La seconda parte (6,22-9,18) consiste in un lungo elogio della pazienza con una preghiera a Dio per ottenerla. La terza parte (capitoli 11-19) si sofferma su alcuni momenti della storia della salvezza particolarmente nel periodo dell’esodo. Nella rievocazione storica schematizzata gli Ebrei rappresentano il tipo di chi segue la Sapienza e raggiunge la salvezza, gli Egiziani il tipo di chi la rifiuta e precipita incontro alla rovina e alla morte.

Linguaggio, stile e considerazioni sull’idolatria (origini e conseguenze nefaste) (13,1-15,17) palesano nell’autore una buona conoscenza della lingua e cultura ellenistica: la prospettiva di una vita eterna di felicità conferisce al libro una sorta di ottimismo, all’uomo è ancora riservata la possibilità di raggiungere l’incorruttibilità, per cui in origine era stato creato. Le vicende terrene sono così relativizzate.

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