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Andateci

COSA MIRACULOSSA

SILVANO COLOMBO - 24/05/2024

Padre Aguggiari e il Sacro Monte

Padre Aguggiari e il Sacro Monte

Questa volta, invece di andare a…, potete accomodarvi e, se volete, prendere nota di quanto sto per scrivervi. Voglio rivelarvi alcuni momenti fondamentali nella vita della Fabbrica del S. Rosario del Sacro Monte sopra Varese.

Se qualcuno di voi ha letto la “Cronaca varesina” di Giulio Tatto, sotto l’anno 1605, nel mese di Agosto, avrà rilevato il seguente passaggio: “Tutta la fattura delle capelle che si vanno facendo al sacro monte…è stata tutta oppera del padre frate Gio. Battista da Monza… cosa miraculossa co’ tanta spesa de denari”. (mi riferisco alla edizione curata da Leopoldo Giampaolo, supplemento della Società Storica Varesina, 1954, p.70).

Vero è che il miracolo consistette, a seguire, nella straordinaria organizzazione di tutto il lavorèrio che la Fabbrica, il cantiere, delle Cappelle esigeva.

Per dirne brevemente ci fu un notaio, il varesino Modesto Dralli, che, incaricato di stendere tutti gli atti relativi alle opere da mettere in cantiere, per prima cosa curò l’affissione del Bando che comunicava come e qualmente si stava dando inizio ai lavori del Sacro Monte, per informare quanti avrebbero avuto titolo e modo di concorrervi.

Fu così che il Bando fu affisso nei mercati della zona, cioè in quello di Varese, in quello di Como ed in quello di Lugano.

Basta questo indizio per far capire la risonanza che avrebbe avuto la fattura delle cappelle.

Occorrevano manovali, badilanti, picconeri, selciatori, maestri di muro, muratori e garzoni, scalpellini, plasticatori, cioè scultori abili nel realizzare statue in terracotta, da finire con la loro dipintura, esigendo quindi pittori, e poi frescanti, per dipingere le pareti delle cappelle, teciatti, cioè gente capace di costruire e chiudere un tetto con le travature e le tegole, la cui fornitura doveva essere assicurata da fornaci che il maestro: magister, direttore dei lavori, l’ingegnere-architetto maister Giuseppe Bernascone, detto il Mancino, avrebbe individuato e con i quali fornaciai avrebbe trattato sulla qualità e sulla quantità, per poi portarli nello studio del notaio Dralli a fare l’offerta per una certa fornitura.

Per esempio quella di mille tubi in terracotta finissima, nei documenti detti canali, che si sarebbero interrati per condurre l’acqua dalla cima del monte lungo le cappelle, anzitutto per fornirla per i lavori da fare con la malta, poi per mostrarla, cioè per allestire le mostre dell’acqua, cioè le fontane in certi siti scelti apposta per offrire ristoro ai lavoranti ed ai pellegrini.

E per questa impresa il Bernascone andò a cavallo da Varese fino a Riva San Vitale, terra dei Signori Svizzeri, cioè nell’attuale Canton Ticino, a valutare la qualità dei tubi che il mastro Battista Bernasconi sapeva formare. E per la sua missione, condotta a termine nel settembre del 1605, venne adeguatamente risarcito dal Dralli.

Importa però chiedersi per quale via quei tubi sarebbero giunti alla Fabbrica e cioè fin nel borgo di Santa Maria.

I Deputati e Fabbricieri della Cappelle si accordarono col Bernasconi che li avrebbe fatti condurre, via lago, fino a Porto Ceresio e da lì sarebbero stati prelevati e condotti su carri per la Val Ceresio fino ad Olona dove, percorrendo la salita che noi conosciamo dei Mulini Grassi, sarebbero giunti a Sant’Ambrogio e, finalmente, a Oronco e nel cantiere della Fabbrica, che si dilungava lungo quella che poi sarebbe stata la Via Sacra. Una impresa nell’impresa.

Noi, salendo al Santuario per la Via Sacra, camminiamo su dei ciottoli allestiti egregiamente a formare la rizzada, che avvedutamente chi la realizzò pensò innanzitutto a comporre un vero e proprio tessuto di ciottoli, tutti benissimo legati, che avevano la primaria funzione di rompere il flusso dell’acqua che come in questi giorni si rovescia sulle nostre teste. Di più, curando che ad ogni tratta ben misurata ci fosse un cordone che delimitava campo per campo la salita; che aveva una sua ben studiata pendenza e che convogliava l’acqua eccedente in certe bocche di scarico che funzionano tuttora, se tenute ben sgombre da erbacce.

L’impresa della acconciatura della strada era stata deliberata a don Federico Bianchi di Barasso il quale, come impresario, faceva lavorare gli appaltatori che, presentatisi di fronte al Dralli, avevano fatto le loro offerte e dopo offerte e controfferte pur di ottenere il lavoro, se lo erano aggiudicato. Ma qui viene il bello, che è estremamente istruttivo anche per noi. La bontà del lavoro, eseguito nei termini di tempo sottoscritti, era sottoposto a collaudo che, se non fosse stato positivo, avrebbe avuto conseguenze pecuniarie ai danni degli appaltatori. Così andava il mondo, e che sia andato bene lo dimostra il vialone delle cappelle che resiste da quattrocento anni, basta che qualche appaltatore non interri cavi o fibre e rompa la magica maglia dei ciottoli e la lasci a sconnettersi, senza colpo ferire e senza essere perseguito a dovere per i danni apportati.

Intorno alla fabbrica c’era un via vai di uomini, e le loro donne, talvolta portate dietro per mantenere unita la famiglia, avevano trovato riparo in certe case alla Cascina Morona, avevano cresciuto i figli fintanto che il pa’ aveva trovato lavoro per la Fabbrica, per almeno una generazione. E si nutrivano lavorando la terra, tagliando l’erba per gli animali, mucche, conigli, galline ecc., curando le viti che davano un vinello rosso che non doveva dare alla testa, anzi era leggermente crodello, e mangiando del pane che il fornaio di Velate doveva, per appalto vinto, fornire giornalmente per tutti gli operarij della Fabbrica voluta da padre Aguggiari, benedetto lui da tutti noi.

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