Nelle elezioni europee del maggio 2024 i cittadini decideranno il nostro futuro, scegliendo tra visioni – anche molto diverse tra loro – della società e del nostro stare insieme. Ma poter scegliere il futuro del nostro continente dipende innanzitutto dall’impegno alla pace e al disarmo, ma anche dall’affrontare la crisi del clima e della biodiversità: una crisi annunciata da decenni di studi e ormai purtroppo riscontrabile nella vita quotidiana. Continuare a non agire esporrà infatti le nostre vite ad eventi climatici sempre più estremi, a una crescente incertezza economica ed alimentare, all’inabitabilità di intere zone del mondo e a conseguenti, imponenti migrazioni, dalle regioni vicine, ma anche tra diverse regioni dell’Europa. Saremo così obbligati a politiche di emergenza, che assorbiranno sempre più risorse: privandoci, in ultima analisi, proprio della libertà di scegliere liberamente il nostro percorso nel futuro.
I massimi esperti ritengono che le temperature globali aumenteranno di almeno 2,5°C rispetto ai livelli preindustriali entro il 2100. Questa spaventosa previsione deve spronarci ad agire: quasi due terzi delle persone in tutto il mondo credono che la crisi climatica sia un’emergenza: sappiamo cosa accorerebbe fare e dobbiamo essere fiduciosi che saremo in grado di realizzarlo, grazie al rapido progresso delle tecnologie rinnovabili.
Una nuova ricerca del Guardian, il quotidiano inglese, ha scoperto che centinaia dei migliori scienziati del clima del mondo ritengono che le temperature globali aumenteranno di almeno 2,5°C rispetto ai livelli preindustriali entro la fine del secolo, ben al di sopra del limite concordato a livello internazionale. Solo il 6% degli intervistati ritiene che l’obiettivo di 1,5°C possa essere raggiunto.
Infatti, stiamo già assistendo a un’impennata estrema delle temperature in Europa e a spaventose inondazioni nel sud del mondo ed, in particolare, in Braile. L’immagine del futuro può sembrare opprimente e irrisolvibile: avendo investito così tanto nella comprensione, nella misurazione e nell’informazione delle persone sul problema della emergenza climatica, risulta incomprensibile che sia stato fatto così poco dai governi per affrontare le cause e prepararsi alle conseguenze. Modificare il comportamento personale non è sufficiente: è necessario un cambiamento sistemico.
È vero che ciò che i cittadini sostengono in teoria e che ciò per cui votano in realtà, purtroppo, non sempre coincidono. Affrontare il riscaldamento globale sarà più economico che cercare di conviverci, ma i costi sono iniziali e le ricompense a lungo termine: sicuramente più lunghe del ciclo elettorale cui siamo chiamati. Su questo fraintendimento e sulle reazioni immediate, guardando alle tasche degli elettori, le destre europee hanno imposto un freno al Green Deal europeo, perfino, purtroppo, con la complicità di una incerta e connivente Ursula von der Leyen.
Occorre fare la differenza e sostenere alle lezioni prossime chi alla pace e alla crisi climatica offre una consapevole priorità.
Gli scienziati dell’IPCC in un loro documento hanno messo in rilievo che i giovani si preoccupano di più della crisi climatica e sembrano più disposti ad apportare cambiamenti allo stile di vita per affrontarla. In fondo, non si può trascurare né i progressi fatti dall’inizio del 2000, né che ogni decimo di grado conta molto e giustifica che è ancora utile continuare la lotta.
Le azioni individuali possono sembrare inutili data l’entità del compito. Ma possono anche costruire una consapevolezza collettiva: la sensazione che il cambiamento sia possibile e lo slancio per un progresso sistemico più ampio. Proprio come esistono i punti di non ritorno climatici, esistono anche i punti di non ritorno sociali. È imperativo cogliere questi ultimi il più velocemente possibile, anche nell’occasione dei prossimi appuntamenti elettorali.
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