È sicuramente la prova scolastica maggiormente temuta. Per molti resta addirittura ambientazione privilegiata di incubi notturni che al risveglio lasciano addosso un palpitante senso di angoscia: dall’esame di maturità nessuno passa indenne. Del mio, al Classico Cairoli nel ’79, non tendo a ricordare il timore del lungo corridoio dove, disposti su due lunghe file distanziate, aspettavamo il rito dell’apertura della busta, con tanto di controllo dell’integrità del plico che contribuiva a rafforzare l’atmosfera dell’evento unico e importantissimo. Ho invece bene in mente come fossi vestita e che, inutile negarlo, nell’andare verso scuola il giorno dell’orale ho anche fatto una veloce sosta in basilica a chiedere un po’ di protezione celeste.
Mi piace anche pensare con simpatia ai giorni di studio, nel periodo precedente, a Sant’Ambrogio presso la casa dei nonni di Enrico, un compagno di liceo, appassionato come me di letteratura, di storia e filosofia ed ora giornalista e politologo. Rammento anche la scelta, allora inusuale, di optare nel tema di letteratura per una riflessione su autori contemporanei: alcuni docenti a quei tempi purtroppo “zippavano” Pirandello, Ungaretti e Montale in lezioni calderone a fine maggio, nelle quali in poche ore tentavano di dire che c’era stata una letteratura del XX secolo. Quindi scegliere di snodare l’argomentazione tra le Langhe di Pavese, la Eboli di Carlo Levi, la Luino di Chiara e la Magliano di Tobino ha significato affidarmi esclusivamente a un lavoro da autodidatta. Una “ribellione” che a me è piaciuta molto, alla professoressa membro interno molto meno perché non si spiegava come …una che aveva sempre studiato potesse avere scritto di autori che “contavano niente”.
Quella ribellione in fondo mi è rimasta dentro, anche da docente, sia perché continuo a fare leggere fin dalla classe prima autori contemporanei, sia perché ritengo che l’esame finale non debba assomigliare nemmeno vagamente a una ennesima interrogazione, per di più pluridisciplinare. In realtà dovrebbe rappresentare l’occasione per verificare l’autonomia e la libertà culturale del giovane che entra da quel momento nel mondo adulto dell’università o del lavoro. Ammettiamo però che non sempre ciò accade e che purtroppo a volte, ancora oggi, si ritrovano docenti che interpretano la nomina a commissario come una sorta di crociata in casa d’altri, se non addirittura come sfoggio di una presunta superiorità dimostrata a suon di insufficienze assegnate ai ragazzi nelle prove o di “sufficienza e aria da puzza sotto il naso” con cui commentano la preparazione cui hanno provveduto i professori dei poveri maturandi.
Si sa che sono una prof notoriamente dalla parte degli alunni e me lo rimproverano anche alcuni miei colleghi e qualche mia amica che non ha avuto figli con strascico di debiti o materie da rimediare… Ma soffro terribilmente quando un commissario (il maschile è solo formale) è preceduto dalla fama di esperienze pregresse che lo rendono noto per non avere dato che una o due sufficienze nel tema o per essere pignolissimo all’orale e anche un po’ ruvido e sulle sue. Soffro perché sappiamo bene che i ragazzi non arrivano mai ad un esame finale “allo sbaraglio”, ma sono accompagnati per almeno cinque anni da docenti che hanno camminato didatticamente e umanamente con loro. Del resto l’esame stesso prevede di avvalorare nello scritto la libertà di scelta di tipologia di scrittura e di argomento e di favorire nella prova orale un colloquio che dia respiro anche ad esperienze personali e conoscenze extrascolastiche. Anche il tentativo di mettere a proprio agio il candidato facendolo iniziare con un argomento a piacere è stato poi maldestramente interpretato, diventando in alcuni casi il truce consiglio di scrivere una “tesina” che finisce con l’assorbire tante energie di preparazione che potrebbero essere meglio incanalate.
Come è bello invece quando uno studente si siede, anche un po’ tremante certamente, davanti alla commissione e inizia davvero a parlare di un argomento che lo interessa, magari di musica o di cinema, di fumetti o di letteratura cinese, di astrofisica o dell’ultima mostra di pittura che lo ha interessato. Perché, chi l’ha mai detto che non possano anche i docenti a volte imparare dagli studenti? L’esame di “maturità” potrebbe essere una bella occasione per lasciare che ciò possa accadere.
Visto da questa prospettiva l’esame farebbe meno timore ed eviterebbe anche troppe ansie eccessive, che tracimano nella convinzione che nelle fiale di fosforo o in qualche ricostituente ci sia la risposta alla paura. Pensare positivo e avere stima di sé sono gli antidoti migliori sia per la temuta maturità sia per il resto della vita.
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