Il fascismo si presentò come un movimento anti-ideologico, facendo consistere la sua novità piuttosto nella prassi. Sin dal 23 marzo 1921 Mussolini lo definì una grande mobilitazione di forze materiali e morali. Senza false modestie lo scopo della sua azione doveva essere quello di governare la nazione. Noi non crediamo ai programmi dogmatici. «Noi ci permetteremo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle circostanze di tempi, di luoghi, di ambienti», concetti ribaditi e canonizzati nella voce “Dottrina del fascismo” dell’Enciclopedia Treccani (1932). In realtà si trattava del primato dell’azione sul pensiero, di celebrare la fecondità dell’azione per l’azione. Mentre Mussolini consacrava i valori tradizionali, irridendo al socialismo, alla democrazia, al liberalismo, ne affermava altri: il valore della forza che creava il diritto, della legittimazione del potere attraverso la conquista, della violenza risanatrice.
Nei primi anni specialmente si ispirò a ideologie negative di negazione dei valori correnti, fu antidemocratico, antisocialista, antibolscevico, antiparlamentare, antiliberale, antitutto. Si fregiò del nome di Anti Europeo, di anti-partito. Fu soprattutto una antirivoluzione. Ebbe della rivoluzione solo gli aspetti esterni, la violenza e l’intolleranza, lo spirito di fanatismo, la partigianeria, il carattere antistorico. Fu il bacino collettore di tutte le correnti antidemocratiche rimaste sotterranee o confinate nell’ambito letterario, riuscì a coagulare tutte le tendenze antidemocratiche, dei conservatori all’antica, come degli irrazionalisti (fu un movimento eversivo colla pretesa di dirsi restauratore dell’ordine). La rivoluzione degli spostati, degli sradicati, dei reduci si sposava con le mire di instaurare uno stato autoritario, per fare rigare diritto gli operai. L’unica cosa seria del regime fu l’abolizione di tutte le conquiste dello Stato liberale, senza instaurare un stato socialmente più avanzato.
Per gli uni il mostro bolscevico doveva essere spento, per superare la crisi della civiltà, favorendo la rinascita del genio della stirpe italica (i credenti fanatici), gli altri, che consideravano i primi degli esaltati, si preoccupavano soltanto della restaurazione dell’ordine. La prova del fuoco ci fu quando i super-credenti nella grandezza del Duce videro che la guerra stava per essere perduta, essendo diventato il fascismo un pessimo strumento. Di qui il colpo di Stato del 25 luglio 1943. Per gli altri rimase il tragico epilogo, la battaglia disperata della Repubblica di Salò.
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