Nella gara fra Giorgia Meloni, che vuole il premier eletto direttamente, e Matteo Salvini che vuole l’autonomia differenziata delle Regioni, chi arriverà primo al traguardo?
La risposta ormai certa è Salvini, salvo clamorosi colpi di scena. Si tratta di una legge ordinaria che non richiede l’approvazione delle due Camere a distanza di tre mesi e non richiede il referendum confermativo che sarà invece quasi sicuro per il premierato se non riceverà i due terzi del voto del Parlamento, come è altamente probabile.
Molto più interessante l’altra domanda sui contenuti. I due progetti rappresentano un bene per lo Stato e la comunità nazionale? La critica qui diventa fortissima. Le due proposte, frutto di uno “scambio politico” fra Salvini e Meloni, non si tengono insieme, non si integrano: sono per molti aspetti contrastanti.
Il premierato risponde ad una visione verticistica e piramidale dello Stato. Si può immaginare il rafforzamento di Palazzo Chigi senza il conseguente rafforzamento dei ministeri, delle strutture centrali dello Stato, degli Enti nazionali economici e di controllo? E come si concilia tutto ciò con l’allargamento dei poteri regionali del progetto Calderoli?
Le date che hanno scandito la vita delle Regioni, oltre alla Costituzione del 1947 che ne prevedeva l’introduzione, sono il 1970 quando furono concretamente istituite e il 2001 con il nuovo Titolo Quinto costituzionale che ne allargava le funzioni. Vorrei tanto, ma speranza vana da molti anni, che il 2024, invece che la data dell’autonomia differenziata, fosse la data di inizio del processo di riduzione a circa metà delle Regioni esistenti per dare corpo e sostanza ad un regionalismo forte, credibile, coerente, finanziariamente sostenibile.
Venendo alla dura realtà di oggi, anche chi vede con favore la possibilità di qualche forma di autonomia in più per le Regioni che presentino progetti ben strutturati ed economicamente fattibili, riconosce che l’ordinamento regionale del 2001 debba essere rivisto e ridimensionato. Sarebbe necessario lasciare interamente allo Stato le grandi reti di comunicazione; porti e aeroporti; la sanità nelle pandemie; la scuola eccetto la formazione professionale.
C’è poi l’altro tema assolutamente decisivo che riguarda i servizi essenziali per le persone. Non ha senso approvare prima questa legge e solo in un secondo tempo, mai sicuro, definire e finanziare i LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni concernenti i diritti civili e sociali). Le due decisioni dovrebbero correre insieme. In caso contrario le disparità territoriali possono crescere anziché diminuire ed è facile prevedere l’aggravarsi delle differenze fra Nord e Sud.
Ad un autonomista come sono sempre stato, fa male vedere, come reazione al progetto Calderoli, l’aumento dell’adesione al centralismo dello Stato registrato in alcuni sondaggi. E non piace nemmeno, per la verità, sentire esponenti dell’opposizione che parlano della “deriva secessionista” che sarebbe l’esito del progetto leghista.
In realtà non esiste il rischio secessione ma quello della confusione e della conflittualità fra Regioni più ricche e più povere.
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