(C) Vi propongo di affrontare il tema dei giovani, ma da un profilo particolare, quello della vocazione, essendo una rivista d’ispirazione cattolica, con una particolare attenzione a quella religiosa.
(S) Sembra che qualunque professione o stile di vita che richiede sacrificio sia scartato a priori. Non tanto per un problema di remunerazione, quanto per il desiderio di non avere troppi vincoli. Se una volta ci lamentavamo di coloro che badavano solo ai soldi e alla carriera, adesso ci dobbiamo lamentare perché troppi badano all’orario di lavoro, al sabato libero.
(O) Ma anche alla salubrità dell’ambiente di lavoro, al fatto che non si partecipi ad una produzione che inquina o che sia moralmente riprovevole, come la produzione di armi, e simili. Tenete anche conto che quelli che hanno spirito di sacrificio o cercano occasioni di carriera preferiscono rischiare l’avventura all’estero, attirati dalle retribuzioni, pensiamo a medici e infermieri, a professioni molto specializzate o a mestieri meno raffinati ma ricercati, per esempio, nella nostra vicina, la Svizzera.
(C) Quindi secondo voi il problema è piuttosto materiale. Ma fatemi fare un’osservazione strana: vedo una crisi di ‘vocazioni’ anche per carriere allettanti: vedo che le squadre ‘primavera’ delle nostre principali società calcistiche sono composte in prevalenza da giovani stranieri. Forse anche qui, dove comunque occorre una dose di sacrificio, oltre che di talento, quando l’impegno diventa serio, vengono a mancare motivazioni efficaci. Non parliamo della ‘vocazione’ a falegname, idraulico, panettiere, cuoco, maestra, sarta…
Ritornando al tema della vocazione religiosa, insieme all’indubitabile effetto della secolarizzazione della società che mette in ombra i valori religiosi e provvede ai bisogni spirituali con lo psicologo invece che col sacerdote, la crisi della vocazione religiosa nasce da una forma d’individualismo. Avete ragione, ma riprenderei, per capire meglio, due osservazioni dal rapporto del CENSIS pubblicato sul finire dello scorso anno.
“In questi mesi si è fatta strada la consapevolezza che è cambiata l’attribuzione di senso al lavoro da parte dei giovani, come espressione della vocazione e dello sviluppo della persona e delle comunità: un sostanziale rovesciamento rispetto al passato, che però non rimette in moto uno sciame, uno sforzo collettivo di sviluppo”.
(S) Vuol dire che prevale l’attesa del riconoscimento di diritti individuali, piuttosto che di doveri, sia personali sia sociali? Che manchi persino una tendenza imitativa, per quel che riguarda non solo i fini ultimi, che la predicazione religiosa non sembra più evocare, ma pure per i comportamenti quotidiani? Eppure mi sembra il contrario, per i consumi e le mode popolari, i telefonini e i social, la musica, gli spettacoli, lo sport.
(C) Dice ancora il CENSIS: “Il riconoscimento delle identità e dei diritti collettivi, con un modello nuovo in cui sia assicurato il lasciar essere, l’autonoma possibilità – specie per le giovani generazioni – di interpretare lavoro, investimenti, coesione sociale senza vincoli collettivi. Rimane sullo sfondo il dubbio che, se ciascuno conquisterà la libertà di essere qualsiasi cosa, senza regole, senza vincoli, senza sciame, non sapremo fare, insieme, le cose che da soli non siamo in grado di fare e non sapremo essere, tutti insieme, ciò che da soli non siamo in grado di essere.” Qui si esprime una preoccupazione laica, espressa in linguaggio sociologico, che manifesta ancora una volta il rischio che corre una società che non riesce ad affermare valori condivisi, magari non da tutti unanimemente, ma con almeno un riferimento finalistico, di fondo, su cui si possa istituire un confronto. Questa mancanza ormai non coinvolge solo i giovani, ma vi stanno rinunciando anche le generazioni intermedie, come testimonia, sul piano specifico della frequenza alle cerimonie religiose lo studio di Diotallevi: l’abbandono della pratica religiosa non avviene più solo nel momento critico del passaggio dall’adolescenza alla giovinezza, ma anche in età matura.
(O) Certo, anche se sono forse due fenomeni diversi; il primo aveva come causa la difficoltà di sostenere le esigenze della morale cattolica, in altri tempi coincideva con il servizio militare, il secondo con la disillusione rispetto ad ogni autorità; pensiamo alla politica, alla quantità di astensioni dal voto, alla scarsità della partecipazione attiva all’azione dei partiti. Per la Chiesa è quasi la stessa cosa, non le si riconosce autorevolezza, soprattutto per i giudizi sulla vita quotidiana e i suoi valori. Questa è una delle principali ragioni della crisi delle vocazioni religiose: nessuno s’impegna per assumere un ruolo sociale cui non viene riconosciuto valore. Ma se c’è stata un’ulteriore conseguenza negativa, ci può essere un compito positivo: l’evidenzia il pannello introduttivo della mostra dedicata a Mons. Manfredini, che riaprirà il 21 maggio alle Scuole Manfredini: “La Chiesa è all’origine della cultura popolare… L’insorgere di una ideologia mondana anticristiana costituisce uno dei fattori fondamentali della crisi dell’uomo e della convivenza nella società italiana di oggi. Nel solco di questa tradizione da recuperare e rinnovare si evidenzia per la Chiesa italiana anche la sua funzione di forza sociale.” Quello che Manfredini indicava molti anni fa si è reso generale, oggi e propone questo ricorrente rinnovamento come VOCAZIONE alla Chiesa tutta, sacerdoti e laici. Torneranno numerose le vocazioni sacerdotali solo grazie alla riscoperta di questa essenziale vocazione della Chiesa tutta.
(C) Costante (S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti
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