Uno dei migliori ponti della primavera è quello del 1 maggio, poiché la festa quest’anno cade di mercoledì. C’è chi l’ha chiamato super ponte o ponte “ghiotto”, considerando un possibile periodo di vacanza quello dal 25 aprile alla festa del lavoro.
Qualcuno ha persino calcolato che per tutto il 2024 con dieci giorni di ferie si fanno trentaquattro giorni di vacanza. Sarebbe più giusto dire che “si potrebbero fare”. Ma anche senza pignolerie linguistico-moralistiche la consolidata abitudine di pensare alle possibilità di meritato riposo grazie ai cosiddetti ponti necessita di qualche riflessione. Nell’aprile del 1973 il Corriere della Sera dedicò un’intera pagina ai ponti, indicati rigorosamente tra virgolette. Era un fenomeno sociale e culturale da tenere sotto controllo. Si possono leggere riflessioni che fanno sentire appieno la distanza temporale. «In questi giorni viene contestato – così si afferma nell’articolo che dominava la pagina – il “diritto al ponte” che, in diversa misura, gli italiani hanno quasi acquisito con il costume di legare le festività infrasettimanali, civili e religiose, al “week-end”, trasformando in vacanze anche i giorni intermedi di lavoro». «La Chiesa – continuava l’articolo – sta già studiando l’opportunità di spostare al sabato più vicino o alla domenica successiva le ricorrenze che non riguardano i misteri centrali della fede».
In quel paginone del Corriere si infittiscono le considerazioni: quelle dei cosiddetti “pontieri”, degli imprenditori preoccupati dei danni economici e perfino dell’ inventore “del calendario dei ponti”, etichettato come predicatore del relax”. Costui afferma: «Ho sofferto, pensato e depositato “Il calendario Ponti d’Italia” nel 1965 per offrire ai lavoratori il mezzo per capitalizzare ogni piccola occasione di vacanza, con la formula di raccordo fra le feste comandate».
Non è un caso che nella stessa pagina viene ricordata una massima dell’umorista Marcello Marchesi: «Ricordati di pontificare le feste». Certamente siamo, a distanza di cinquant’anni, obbedienti a questo precetto. Nulla di male a essere vitalizzati da momenti di riposo e di vacanza. Ma questo non ci deve far dimenticare che ci sono anche altri ponti da costruire. E tra il 25 aprile, celebrazione proposta già dal 1946 da Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio, e il 1 maggio, almeno in Italia c’è un ponte valoriale: non solo simbolico ma importante. Da difendere sempre se abbiamo un vero pensiero resistente.
Vale davvero la pena ricordare come nel primo maggio 1945, sotto fiocchi di neve, a Varese ci fu una grande manifestazione. E appassionati e lungimiranti furono i discorsi tenuti al Teatro sociale perché, se era stata riconquistata la libertà, si poteva e si doveva avviare il processo di conquista dei diritti. Da continuare anche oggi ricordando che la dignità del lavoro non è ancora patrimonio reale di tutti i Paesi del mondo e come alcuni lo riconobbero lentamente. La Spagna dovette attendere il 1978.
Lo dobbiamo fare con convinzione civile per ripudiare – non solo a parole – quella scritta, tragicamente beffarda, all’ingresso dei campi di sterminio, Il lavoro rende liberi. La storia ci insegna sempre qualcosa.
La data del Primo Maggio fu scelta – repetita davvero iuvant – per scuotere le coscienze in memoria del tragico maggio del 1896 quando a Chicago ci fu una strage tra i manifestanti che chiedevano la riduzione dell’orario di lavoro.
Bisogna non rinunciare ad essere costruttori di ponti tra quanto abbiamo ricevuto dal passato e il futuro che vogliamo. Con mente vigile e rivitalizzata magari da un meritato e legittimo riposo. Ma sempre ricordando che le “feriae” per i latini erano giorni sacri da rispettare. Anche questo ci insegna la storia, se vogliamo.
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