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Attualità

L’OPERAIO DEL VANGELO

SANDRO FRIGERIO - 03/05/2024

 

Non aveva tempo, ma lascò segni andarono oltre il tempo. Chissà se Enrico Manfredini il “vescovo senza stemma” che, senza aggiungere titoli e cariche firmò il manifesto che fece diffondere a Bologna per invitare i giovani in San Petronio – e sarebbero arrivati in 4 mila – lo sapeva, ma la sua vita sarebbe stata breve e intensa. Tanto intensa che fatica a stare nella ventina di cartelli della mostra rievocativa che è stata allestita nello spazio di Varese Noi, in Via San Francesco, accanto a quell’oratorio che lui ebbe tanto a cuore, e che resterà aperta fino al 6 maggio. Successivamente, a partire dal 20 maggio, si trasferirà nell’aula magna del complesso scolastico a Valle Olona che porta il suo nome.

Ordinato sacerdote pochi giorni dopo la Liberazione, nel maggio del 1945, da Ildefonso Schuster, Varese, Manfredini arrivò nel 1963 a 41 anni come prevosto della basilica di San Vittore. Restò sei anni prima di essere nominato vescovo di Piacenza. Due passaggi voluti da Giovanni Battista Montini (che di Schuster fu successore), prima come cardinale della Diocesi milanese e poi come papa Paolo VI. Ancora Montini lo scelse nel piccolo gruppo di “parroci uditori” (il totale degli uditori, laici ed ecclesiastici da tutto il mondo fu di 53) che parteciparono al Concilio Vaticano II.

A Piacenza, che divenne tra l’altro il centro di coordinamento dell’”Africa Mission” sotto la spinta di un varesino, Vittorio Pastori, “don Vittorione”, che egli volle al suo fianco, Manfredini rimase più di tredici anni. La sua ultima tappa sarebbe stata Bologna: nominato arcivescovo il 18 marzo 1983 da Giovanni Paolo II, si spense all’improvviso il 16 dicembre di quell’anno, fulminato da un attacco cardiaco a soli 61. Lo scorso dicembre, nel 40esimo anniversario della morte, le tre diocesi di Bologna, Piacenza e Milano, erano riunite nel duomo di San Petronio, nella concelebrazione condotta dal Cardinale Matteo Maria Zuppi (qui l’omelia), presidente della Cei, che dal 2015 occupa quel seggio arcivescovile che fu di Manfredini.

Ma chi era questo vescovo, che ancora a molti anni di distanza raccoglie, ovunque sia stato un ricordo di affetto e di stima? Era un pastore, innamorato di Dio e per questo stesso motivo dell’Uomo. È questa la fotografia che emerge anche dalla mostra varesina che, analogamente a quella allestita lo scorso dicembre nel capoluogo emiliano dal Centro che porta il suo nome, parla ampiamente con i fatti. Era, per citare le parole del cardinale Zuppi, “un pastore che con forza, passione, senza riguardo agli equilibrismi ecclesiastici e civili, anche se sempre obbediente e totalmente zelante per la Chiesa, ha indicato l’incontro con Cristo, la sua presenza, come il senso di tutto da riconoscere e cercare”. Era uno che, sono ancora le parole di Zuppi, “non perdeva tempo in distinzioni accademiche, da laboratorio, perché il laboratorio era la vita e l’insegnamento era predicare il vangelo e l’amore forte, non da paura, per la Chiesa, per il Papa, per la gente. Aveva una visione della Chiesa non chiusa sul territorio, tentazione che poi deforma la Chiesa stessa e la comunità civile, finendo per esaltare solo le proprie esigenze, dimenticando il mondo, aumentando così le paure e il vittimismo, indebolendosi come sempre avviene quando ci si chiude”.

A Bologna, sulla sua tomba c’è scritto “Operaio del Vangelo e della carità” e a Varese, città in cui Manfredini arrivò in anni da pieno boom economico e connessa di crescita demografica spinta anche dall’immigrazione, ci si ricorda ancora di quando il prevosto si presentò – è stato ricordato nell’apertura della mostra – con un perentorio “non mi interessa la vostra castità, ma la vostra carità”. E le opere non mancarono a Varese, dove, come ha ricordato Costante Portatadino in un video ricco di testimonianze realizzato per l’occasione, “il prevosto del centro ricco e borghese si fece carico dei nuovi bisogni delle periferie”. All’ombra del campanile del Bernascone, sostenne le iniziative a favore dei poveri, dei carcerati, dei giovani, delle famiglie, accompagnò la nascita de’ La Casa di Varese, si impegnò nella crescita di nuove chiese e nel restauro di altre.

La mostra, è stata aperta alla presenza del prevosto di Varese monsignor Luigi Panighetti, del presidente della Provincia Marco Magrini, degli assessori comunali Roberto Molinari e Nicoletta San Martino e, come ha ricordato uno dei suoi curatori, il professor Giulio Cova, ripropone la vita e l’azione di quest’uomo di Chiesa aperto al mondo secondo tre “assi” della cultura, della carità e della missione. A Bologna Manfredini disse di voler essere ricordato “come il ramoscello cosparso di miele che attira a sé le api”. Una scultura in bronzo sulla tomba nella Cattedrale Bologne di San Pietro esaudì questo suo desiderio. La mostra varesina spiega di che sostanza era fatto questo miele.

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