Ormai, quando si gironzola per la città è facile imbattersi in questi ragazzi soprattutto di colore, fermi impalati accanto a qualche esercizio commerciale. Son quasi tutti alti, aitanti. E quasi tutti stanno appoggiati a un muro, con una gamba leggermente piegata e la pianta del piede appiccicata alla parete. Portano delle papaline di lana in testa, fin quasi d’estate. Son per lo più tutti africani e rimangono fermi per ore accanto alla loro mercanzia (si fa per dire), poggiata su un pezzo di lenzuolo. Son calzini, fazzoletti, accendini. Alle volte, quando piove, anche ombrellini che, se va bene, si aprono una sola volta e mai più. Povere cose che nessuno compra. Non ho mai visto nessuno acquistare qualcosa da loro. Eppure, questi ragazzi li trovi sempre lì, allo stesso posto, anche per anni, fermi, silenti. Al massimo un “ciao” o un “buon giorno” stentato. Non sai come vivano. Come facciano a passare la giornata in quelle condizioni. Dove trovino il sostentamento, se nessuno acquista neanche una confezione di fazzolettini. Eppure, generalmente, non sono smagriti, non paiono sofferenti, più che altro, danno l’idea di essere pazienti. Anzi, rassegnati. Non urlano né sbraitano e non infastidiscono neanche. Son lì e basta.
A pochi metri distanza da queste anime perse, capita sempre più spesso di leggere cartelli come questo “Cercasi lavapiatti”.
Ma come cercasi lavapiatti? Lì accanto hai dei marcantoni che non finiscono più, altro che piatti laverebbero! Fa impressione francamente toccare con mano contraddizioni sociali tanto evidenti e profonde, lasciate irrisolte come se non esistessero, in cui – per ritornare a parlare in freddi termini tecnici – domanda e offerta non riescano a incontrarsi neanche per sbaglio, neanche quando si trovano a pochi metri di distanza l’una dall’altra. Eppure, con quel cartello non si cerca un ingegnere nucleare e neanche di economista finanziario. Si cerca un lavapiatti.
Credo che basterebbe poco per alleviare la sofferenza di questi ragazzi che, di certo, deve essere tanta e tirarli fuori dal limbo in cui si trovano. Basterebbe dar loro un minimo di formazione, dei rudimenti, per avviarli ad un primo lavoro, per potersi lasciare alle spalle quei marciapiedi laidi e incominciare una vita dignitosa. Quel cartello “cercasi lavapiatti” non è un caso. È lo specchio di una situazione davvero paradossale, drammatica dove, da una parte, manca il 70% di manodopera che servirebbe all’imprenditoria (dati Unioncamere), tra fonditori, saldatori, lattonieri e carpentieri (ce ne vorrebbe quasi 25.000). Eppoi, meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori (ne mancano quasi 30.000, anche qui il 70% della domanda); e tantissimi altri ancora, come operai specializzati, autisti e operatori del mondo della ristorazione, a cui servirebbero camerieri e baristi (Gabbanelli, Corsera, 8.4.24). E lavapiatti, ovviamente!
Di contro, rispetto a questa situazione paradossale, assistiamo a sbarchi continui di migranti e una scia infinita di morti affogati. Le comunità locali sono in sofferenza e i centri di accoglienza scoppiano, mentre prospera la malavita, che assolda lì la sua manovalanza. Per non parlare dei costi di queste strutture (strutture?). Dunque, parrebbe naturale mettere insieme le due cose, domanda e offerta. E difatti, alla fine dell’anno scorso, il presidente di una società imprenditoriale, Paolo Pizzarotti, si è offerto di far formazione a questa gente, per poi assumerla e toglierla dalla strada (Ibid.). Dalla politica c’era da aspettarsi salti di gioia e ululati da stadio. E invece niente. Tamquam non esset, come non fosse successo nulla. Che vorrà dire? Si pensa davvero, di nuovo, che le cose si risolvano coi navigator? Auguri
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