Siamo brevi, che non è il caso di tirarla in lungo. Il voto europeo, qui in Italia, è una presa per i fondelli. Alias: pagliacciata multicolor. Gliene frega zero a chiunque di Unione che deve evolversi, avere maggior armonia, saldezza, visione, competere con Usa-Cina-Russia-Africa-India-Oriente largo eccetera. Naturalmente, ultima perla di quanto raccontatoci ogni giorno, deve avere un esercito comune. Ma quand’è l’ora d’andare alle urne, i nostri partiti innestano la retromarcia. Si chiama Europa, si legge Italia. E siccome il sistema di scelta è proporzionale, alé col bottegaismo, ogni negozio di consenso lavora per sé. E alé col personalismo, quasi ovunque: ogni leader fa il presidenzialista. Scrivi Giorgia, scrivi Elly se ti vien difficile Schlein, scrivi Tajani, scrivi Calenda. Così ci misuriamo, noi segretari, e useremo il verdetto di Strasburgo -dove non andremo mai- a pro di Roma. I conti veri van regolati lì.
Poi, nel quinquennio successivo al 9 giugno, ricominceremo e menarla con l’Europa disfunzionale, vessatoria, ridicola, misuratrice di zucchine e vongole, nemica dei patriottismi. Ricominceremo senz’aver fatto nulla allo scopo di cambiarla. Stiamo assistendo alla campagna propagandistica del niente: non idee, non proposte, non strategie. Solo un messaggio al popolo credulone: date retta a noi, fidatevi, firmate la cambiale in bianco, sapremo farne scaltro uso. Intanto contentatevi di parole rassicuranti, pronte a ogni uso: siamo contro la povertà, le differenze, i torti, il prepotentismo, la guerra. Segue elenco da copia/incolla, né di destra né di sinistra né di centro.
Qualunquismo? Esatto, qualunquismo. Ma non vien da noi, che andremo (o forse non andremo) a votare. Viene da chi domanda d’esser votato. Né vale consolarci dicendo che trattasi d’un male comune. Non lo è. Altrove, in Europa, mica s’inscenano simili spettacoli di perculante mediocrità. Altrove c’è una classe politica più seria (meno comica) della nostra. Certo, abbiamo qualche eccezione, però serve a confermare la regola e basta. Perciò nessuna meraviglia se l’astensionismo aumenterà: il livello di disistima verso chi ci sollecita a disegnare la croce su un simbolo e scriverle accanto un nome ha raggiunto, nella considerazione di molti italiani, il punto di non ritorno. E pensare che qui, in questo Paese, son nati gli europeisti primi/convintissimi, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi a citarne due. Dovrebbero vergognarsi, quelli che a parole si ritengono gli epigoni, smentendosi coi fatti. Il guaio (la vergogna) è che ignorano il significato del verbo. Del vocabolo.
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