Ora che avete appena lasciata la Dodicesima Cappella del nostro Sacro Monte, raggiunta con scrupolosa devozione recitando e dunque sgranando il Rosario, vi meritate una sosta, proprio di fronte al breve rettifilo che conduce alla Tredicesima.
Serve per tirare il fiato e per rendersi conto di essere sul crinale del monte che sulla vostra sinistra porta verso la valle del Vellone, sulla vostra destra lungo la valle dove l’abitato di Rasa segna l’ultimo avamposto della diocesi ambrosiana prima che dalla Motta Rossa si scenda verso Brinzio, in terra della diocesi comasca, di Sant’Abbondio.
Vale la pena di rovesciare il punto di vista e di immaginare di essere sui prati della Riana, di fronte alla Villa Cagnola, dove furono trovate tombe di età romana, per guardare verso la Tredicesima e considerare che tale osservazione non deve essere sfuggita a quanti a piedi scendevano verso il mercato di Varese e si chiedevano che cosa faceva una cappella, e poco più a scendere, un’altra in mezzo ai prati, ai boschi di castagni e di noci. Era il segnale che su quella, e questa montagna, erano state costruite delle cappelle per dare corpo al Sacro Monte del Rosario.
Ma forse questa è storia che già conoscete. Torno a dove vi ho lasciato per farvi notare con quale splendore la costruzione della Tredicesima Cappella si impianti solitaria, in piena luce, tutta di pietra lavorata a scalpello, già in piedi entro il 1623.
Giuseppe Bernascone, l’ingegnere-architetto di tutta la Fabbrica del Rosario, ha qui dato ulteriore dimostrazione dello stato di grazia che lo possedeva nel progettare di volta in volta le quattordici cappelle, non una uguale all’altra, ma ciascuna pensata e valorizzata per il suo contenuto misterioso.
Considerando questo edificio, si tratta di una costruzione a pianta centrale, su base ottagona, che in alzato su leva per due ordini. L’inferiore, in una intelaiatura di paraste doriche, che si fanno cerniera l’una con l’altra, mostra archi a pieno centro che conducono ad un anello coperto da volte a forma di semi-cono troncato.
L’impressione prima è di vedere un arco scavato nel pieno della muraglia, come fosse un fornice, collegato ai suoi fianchi con un passaggio attraverso un arco di più ridotta altezza sì da consentire la deambulazione intorno al nucleo centrale della cappella.
Viene confermata la saldezza di un impianto e di un volume conseguente che diversamente da altre cappelle, vuole trasmettere un senso di fortemente sigillato, di assoluto. Sopra la trabeazione si stende una balaustrata bloccata da pilastrini sui quali si impiantano vasi fiammeggianti. Per raccordare il primo alzato con il superiore vengono stesi, come festoni, delle ante curvilinee che vengono coronate da dadi sagomati a cerniera come i sottostanti, sui quali si appoggia un cornicione aggettante, modanato, segnale evidente che da quel punto si sarebbe dovuta alzare una cupola emisferica, che avrebbe dato logico compimento ai sottostanti alzati. La copertura attuale, fatta in embrici, ed il lanternino posizionato più tardi giusto per chiudere e sigillare la costruzione senza logica architettonica, sono dovuti al fatto che la copertura originale non fu portata a compimento o per mancanza di adeguati fondi, o perché in quel sito le emergenze delle cappelle venivano fatte bersaglio di fulmini, come si registrò per la parte conclusiva della torre del Santuario e della Quattordicesima cappella.
Nei campi nitidamente definiti su ciascuna faccia dell’ottaedro si impiantano delle nicchie finestrate, coperte in maniera alternata da timpani interi e timpani spezzati. Le nicchie non dovevano essere occupate da statue ma la loro funzione di vuoto chiaroscurato doveva servire a dare anima alla porzione superiore della cappella, peraltro alleggerita dalla non continua sequenza dei timpani.
A che cosa si deve la perfezionatissima invenzione architettonica realizzata per questa cappella? Al fatto che in essa il mistero che si contempla è quello della Discesa dello Spirito Santo e, a seguire, della Pentecoste.
Negli Atti degli Apostoli (2) si legge: “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”.
Occorreva dunque segnalare fin da fuori le lingue di fuoco fiammeggianti sui vasi del primo ordine; sigillare lo spazio interno che sarebbe dovuto essere nitido di intonaco mentre poi le pareti vennero trasfigurate dalle architetture dipinte dei fratelli varesini Gerolamo e Giovanni Battista Grandi e dalle figure di Federico Bianchi di Masnago (1684). Spiegare, e a questo punto sono io che trasfiguro l’architettura, a tutti d’intorno, in tutte le direzioni, attraverso gli archi che prima ci avevano accolti, ed adesso diventare raggi che espandono il messaggio, che la Chiesa era nata per la sua missione.
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