Nella mia testa, quando penso all’ordinamento dello Stato, metto al primo posto le Istituzioni democratiche e poi l’azione dei partiti per il loro buon funzionamento nel presente e nel futuro.
In questo quadro non ho mai ritenuto intoccabile la nostra Costituzione se non nei suoi valori fondanti e non negoziabili.
Credo che alcune modifiche possano e debbano essere apportate. Fra queste il rafforzamento dei poteri della presidenza del Consiglio per guadagnare più stabilità governativa pur nella necessaria salvaguardia delle prerogative del Parlamento e del Capo dello Stato che è garanzia di equilibrio della vita istituzionale.
Di più, credo che sarebbe opportuno e auspicabile che una rilevante riforma costituzionale possa avvenire, come prescritto, con i voti dei due terzi del Parlamento rendendo inutile il referendum confermativo. In questa ottica il dibattito nel merito dovrebbe avvenire prima dell’approvazione della legge con la partecipazione popolare più estesa possibile.
Detto tutto ciò, la riforma di Giorgia Meloni sul premierato risponde a questi criteri?
Mi dispiace dover dire di no. È incentrata sull’elezione diretta del premier, inesistente in tutto il mondo occidentale e liquidata da Israele dopo alcuni anni di negativa sperimentazione.
Crea un disequilibrio con il Presidente della Repubblica la cui nomina resta affidata al Parlamento. Inoltre la nomina e la revoca dei ministri e la dichiarazione di fine anticipata della legislatura non passano, come ben potrebbero, alla competenza del premier come avviene in Germania, Francia e Spagna.
Non si è fatta la scelta più semplice e sicura, quella di seguire i modelli europei più efficienti.
Il cancellierato tedesco è probabilmente quello che meglio si adatterebbe all’Italia. La sfiducia costruttiva in Germania – un governo può essere rimosso quando sia pronto quello che lo sostituirà — si è dimostrata capace di garantire un forte stabilità che non è estranea, secondo molti costituzionalisti e politologi, al grande progresso di quel Paese, fatto salve naturalmente le difficoltà politiche che ogni Stato attraversa nella sua storia.
Se si procedesse in questo modo, senza la frenesia e il miraggio dell’uomo o della donna al comando, fortissimi perché benedetti dal voto del popolo, potremmo assistere ad un evento molto importante. Voglio dire che ci sarebbe una divisione, sia nel Paese che in Parlamento, fra coloro che vogliono una riforma sensata e, dall’altra parte, i legittimi sostenitori della difesa integrale della “Costituzione più bella del mondo”.
Così avremo invece una corsa referendaria di tipo prevalentemente ideologico che non produrrà passi avanti nella governabilità dell’Italia.
L’idea che tale governabilità possa essere raggiunta eleggendo direttamente il premier si rivelerà un’illusione e avrà portato tante persone che ragionano come me ad impegnarsi nel referendum contro la riforma. Davvero un bel risultato.
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