Offre l’opportunità di alcune considerazioni l’ultima iniziativa a favore dei degenti dell’ospedale presa dalla giovane fondazione “Il Circolo della Bontà”. I degenti e i loro familiari possono portarsi un libro in camera: lo prendono a prestito nella piccola ma efficiente biblioteca realizzata nell’atrio dell’ospedale e gestita da un gruppo di volontari, quasi tutti ex dipendenti del Circolo. È un altro anello di un legame che si vuole riattivare. Va infatti ricordato che l’attività istituzionale della fondazione non prevede un’ossessiva questua nell’ambito della comunità, ma è tesa a ricomporre il rapporto di stretta amicizia e di fiducia che a lungo in passato ci fu tra la città e l’ospedale. È un passo diplomatico dai tempi non fulminei perché si tratta di riportare immagine, attenzione e credibilità in un ambito sociale che investì nella sanità pubblica enormi capitali finanziari e di solidarietà per poi, a partire dagli Anni 80, vedersi largamente tradito, dimenticato e accantonato dai nuovi profeti politici che per di più oggi, a livello gestionale e non solo in Lombardia, hanno eredi che farebbero schiattare Arpagone, il re degli avari. Accade infatti che, in base a parametri di tipo all’apparenza progressista, in realtà padronale, solo un numero sempre più ristretto di varesini può ammalarsi e sperare nel ricovero nell’ospedale che un tempo, quando sognavamo un futuro migliore, non faceva attendere coloro che avevano diritto all’accoglienza.
Il “Circolo della Bontà” ha quindi davanti a sé un percorso non breve e che porterà i risultati attesi se ci sarà stato l’ascolto sia della comunità sia degli amministratori della sanità. Sono convinto inoltre che in questo processo di recuperò conterà il contributo dell’Università, approdata a Varese per merito di pochi illuminati quarant’anni or sono, diventata autonoma da Pavia nel ’98, più amata oggi dalle istituzioni dopo un lungo inverno e tuttavia presentandosi essa a volte, secondo tradizione, come torre d’avorio, è ancora lontana dall’intensità dell’afflato che la città e il territorio hanno per il loro secolare ospedale.
A questi sentimenti e direi a questa sensibilità collettiva, da sempre hanno contribuito i mezzi di comunicazione ai quali i cittadini si rivolgono se ritengono di non avere avuto dall’ospedale quello che si attendevano.
L’atteggiamento dei giornalisti è rispettoso della professionalità dei medici e piace la trasparenza sul funzionamento dell’ospedale: in qualche situazione verifiche e polemiche si impongono per evitare nocive e pure astute “voci”, per rilevare errori. Essendo pubblica la funzione del personale, tutto quanto riguarda il servizio sanitario interessa i cittadini. Di recente una recluta di lusso ha espresso una legittima sua opinione sull’ambiente ospedaliero varesino, un po’ pettegolo. Siamo provinciali, certamente, e pettegoli come succede in qualsiasi comunità. Infatti prima che il medico approdasse da noi ho fatto tre telefonate per avere qualche notizia sul personaggio, che è di primo piano: avrei potuto riempire sei pagine di giornale. E per chi mi parlava, comunque in positivo, ero un perfetto sconosciuto.
Né meglio né peggio degli altri siamo, ma avendo fatto io un’esperienza professionale a Como e conoscendo a fondo la realtà ospedaliera di una città di altra regione, posso dire che aldilà delle follie burocratiche e legislative, come quella dell’ospedale gestito con criteri industriali, e nonostante le polemiche, le nostre comunità mediche sono tutte di livello molto buono; va anzi sottolineato che la presenza dei clinici accademici è stata preziosa perché il rapporto tra ospedalieri e universitari è sempre stato di collaborazione e semmai si sono generati stimoli importanti che hanno innalzato il profilo professionale nelle nuove generazioni portando a livelli eccellenti la crescita di tutta la squadra ospedaliera oggi veramente di garanzia assoluta e più duttile a fronte degli impegni manageriali che vengono chiesti a chi dirige le unità operative.
Dal punto di vista scientifico l’Università perderà, sono prossimi alla pensione, due grandi, il rettore Dionigi e il patologo Capella, che da vero scienziato – è uno dei migliori al mondo – ha sempre evitato qualsiasi ribalta.
Sono tempi di svolte: altre riguarderanno l’ospedale dove la politica giocherà un ruolo importante nelle scelte. Sarà una grande occasione per riproporre la grande storia ospedaliera. I mass media racconteranno se il riavvicinamento della città, perseguito dal “Circolo della Bontà”, avrà fatto altri passi in avanti o se per amore delle botteghe Varese dovrà ancora attendere. E sarebbe allora questo un altro sacrosanto motivo di sana ribellione nei confronti di chi si ripete nell’errore di calpestare la meritocrazia in un settore così delicato come quello della salute.
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