L’esito delle regionali in Basilicata e altro accaduto a destra (caso Scurati) e a sinistra (caso Bari), suggeriscono che l’immagine politica nuova sia il centrocampo. Né largo, né giusto, né altrochevipare: il campo più gettonato si chiama moderatismo. E sta in mezzo. Centrocampo, appunto: voglia di stabilità, riforme in progress, giustizia sociale, tolleranza fra culture. Eccetera. Le liste di Calenda e Renzi, pur tra di esse sfidandosi, han preso insieme il 15 per cento. Cifra significativa. Certo, non di botto trasferibile sul piano nazionale. Però il taglio dato a un’appartenenza di sinistra ormai impossibile, visto il radicalismo cui tende quell’area; e la virata a destra, cercando d’incunearsi tra Forza Italia e Fratelli d’Italia, rappresentano un successo meritevole d’attenzione.
Non tanto da parte di Calenda-Renzi, alleati difficilmente immaginabili dopo i litigi del passato. Quanto da parte d’un Pd che ha fallito, continua a fallire, la rincorsa ai voti di Conte & dintorni. Gara perduta in partenza: non farsene una chiara ragione rende oscuro il domani. Anziché trasformarsi nel partito attento agli umori d’un elettorato che vuole migliorare la propria condizione senza estremizzazioni di strategia, il vertice Dem ha scelto la strada opposta. Tanto che Elly Schlein, presa da voglia di personalizzazione, intendeva mettere il nome nel simbolo per le europee. Così da identificare il Pd con lei, emarginando i dissenzienti interni, cui non piace la sua linea. Quale linea, poi? Un “voglio non posso” che reca zero consensi: vorrei andare oltre Conte, ma non riesco a farcela. Ed è Conte ad andare oltre me, tramite astuzie prevalenti sulla mia ingenuità.
Di qui l’impasse, innescata dal padre nobile Prodi lavando in pubblico (ma dai) i panni sporchi, com’è purtroppo nella tradizione di sinistra. Risultato: a destra la Meloni tiene, grazie anche allo spolpamento della Lega. Forza Italia cresce, attirando suffragi conservatori. Sull’uscio della destra i centristi s’infilano, sperando che la novità mobiliti un pezzo, sia pur piccolo, dell’astensionismo. Se il processo si confermerà vincente nelle urne per Strasburgo, il primo effetto potrebbe consistere nella crisi della segreteria Schlein. Impensabile, a poco più d’un anno dall’insediamento? Pensabilissima, considerata la lunga fila di errori compiuti. Dalla panchina son già pronti ad alzarsi, e occupare il centrocampo di cui all’incipit, il commissario europeo uscente Paolo Gentiloni e il sindaco di Pesaro Matteo Ricci. Nessuna sorpresa, in un partito che ha cambiato otto leader in quindici anni. Presunti bomber incapaci d’essere veri centrocampisti.
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