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Cultura

PER NON DIMENTICARE

RENATA BALLERIO - 19/04/2024

natalediromaCi sono i fatti e le interpretazioni dei fatti. Ci sono i miti e le leggende e il modo di tramandarli. Considerazioni da non dimenticare per ricordarci che la memoria storica è tale soltanto se genera coscienza critica. Vale anche per una data come il 21 aprile con il suo carico di storia e di leggenda. Nel 1924 fu per decreto-legge considerata festa nazionale: festa ufficiale del Fascismo come l’aveva definita in un discorso a Bologna Benito Mussolini. Fu denominata Natale di Roma – festa del Lavoro. Per ironia della sorte fu proprio un 21 aprile, quello del 1945, quando Bologna, nelle prime ore del mattino, fu liberata. Non la nascita celebrativa di Roma ma una rinascita. E la Festa del Lavoro ritornò ad essere il Primo Maggio.

Fin qui la storia. Vent’anni da non dimenticare. Se per il fascismo festeggiare il natale di Roma era un modo per “naturalizzare” la propria storia presentandosi come continuatore di Roma, secondo il giudizio di Gramsci è importante ricordare come negli anni questa data assunse valori diversi. Dopo secoli di oblio nella primavera del 1849 a Roma fu festeggiato il giorno in cui era stata fondata Roma nel 753 a.C, almeno secondo una certa tradizione, anche autorevole. Si narra che ai fori romani mazziniani e garibaldini brindarono alla “rifondazione” della città eterna, in quanto la repubblica romana aveva – momentaneamente – fatto cadere il potere temporale del Papato. Un’altra storia, un’altra interpretazione. Ben diversa dai versi che Giosuè Carducci in Odi Barbare dedicò a Roma, ormai capitale, “Nell’annuale della fondazione della città”.

“Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi/dal Foro, io seguo con dolci lacrime/ e adoro i tuoi sparsi vestigi/patria, diva, santa genitrice/ Son cittadino per te d’Italia/ per te poeta…”. Malinconia per i ruderi che testimoniano la precarietà di ogni gloria e di ogni potenza e nuovo orgoglio patriottico. Un modo poetico di guardare la storia. Certamente differente dai festeggiamenti che da oltre vent’anni a Roma sono occasioni di momenti anche civili. Basti ricordare come nel 1999 in Campidoglio venne data l’onorificenza ad alcuni premi Nobel per la Pace: Michael Gorbaciov, Rigoberta Menchù e Shimon Peres. Davvero un’altra storia e altra infinita malinconia.

Modi diversi di interpretare i fatti e di narrare la storia? Certamente ma tutti inquinati da una scontata accettazione della leggenda che secondo il linguaggio usato ci conduce a riflessioni diverse. Tanto per cominciare è complessa l’etimologia di Roma. Basti ricordare che non deriva da Romolo bensì il contrario. E con parole diverse venne e viene raccontata la nascita di Romolo e Remo.

Per alcuni il dio Marte si era invaghito di Rea Silvia, per altri la sedusse. Tito Livio in modo esplicito scrisse che Marte stuprò la fanciulla. Le parole hanno un peso. Chissà se i figli della lupa durante il fascismo sapevano che con il termine lupa si indicavano a Roma le prostitute. Capaci di tenerezza da adottare due gemelli abbandonati. L’elenco potrebbe continuare. Anche se non dobbiamo cancellare quanto la tradizione culturale e artistica ci ha nei secoli consegnato, come i quadri di Rubens e Carracci con una docile lupa che allatta i gemelli, è importante non rinunciare mai al senso critico, non dando nulla per scontato. Serve a capire la storia, oltre le apparenze. E a leggere quanto ci circonda.

Un esempio? A Induno Olona proprio nel giorno natale di Roma di cento anni fa fu inaugurato il monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale. Si può dimenticare quella data ma non l’iscrizione: “Non vandalica devastet insania quod pietas erexit…”, Non porti distruzioni la vandalica follia a quanto la pietà ha eretto... Non abbiamo bisogno di retoriche celebrazioni ma di “pietas”. Ci sono già troppe devastazioni.

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