Le parole che si usano per ricordare le persone scomparse hanno sempre qualcosa di generico e di convenzionale, e molte volte non rispondono alla verità dei fatti. Nel caso di Lamberto Ruffini non può essere così. Egli era un uomo buono, di una bontà genetica e totale. In più di mezzo secolo – tanti sono gli anni che ho avuto il privilegio di conoscerlo – non l’ho mai sentito pronunciare nulla di men che rispettoso verso chicchessia. Era un uomo così generoso e altruista da far pensare che non avesse considerazione di sé; ed era un uomo semplice, forse addirittura ingenuo come sanno esserlo solo alcuni ragazzi.
Insieme siamo cresciuti al Cantoreggio di Masnago, nelle case popolari costruite in ottemperanza dei Piani Fanfani subito dopo la fine della guerra. Era più grande di me di qualche anno, e perciò – anche in considerazione dell’abisso che separa nell’adolescenza giovani non della medesima età – all’inizio ci siamo frequentati poco. Poi, come si dice, la forbice ha cominciato a restringersi, e le lame sono arrivate fin quasi a congiungersi. I primi ricordi, dunque, risalgono ai miei tempi del liceo, quando lui lavorava in un laboratorio di sartoria e la sera frequentava studi di ragioniere. Faceva la salita delle Case, verso la fermata del pullman di via Piemonte, corricchiando, io – sempre pigro e in ritardo – faticavo a stargli dietro.
Ci ritrovammo, qualche anno più tardi: Lambe – com’era chiamato al Cantoreggio – aveva trovato un posto da impiegato all’Ente provinciale per il turismo, io muovevo i primi passi in Prealpina, occupandomi – per incarico del direttore Mario Lodi – proprio di problemi turistici. Fu una sorta di rimpatriata, e immensi furono i favori, le dritte elargite da Lamberto in occasione delle innumerevoli manifestazioni organizzate dall’EPT di allora: dalla Mostra internazionale canina, che si svolgeva ai Giardini Estensi, al fantasmagorico spettacolo di fuochi artificiali della Schiranna dei primi di settembre, alla Festa dell’emigrante di Arcumeggia. Devo riconoscere che tutti i funzionari e i dirigenti dell’Ept di allora, guidati da un ineguagliabile, nobile e generosissimo Manlio Raffo – cito solo i nomi di Bottigi e di Bacchiega – erano formidabili e prodighi di aiuti verso un giovane giornalista, peraltro non di origini varesine. Ma la vicinanza di Lamberto era tutta speciale, fatta di incancellabili intese che derivavano dai comuni trascorsi cantoreggini. Come dire, mi spianava la strada, servendomi su un piatto d’argento l’articolo già bell’e confezionato, anche nei casi… impossibili, come alla Festa dell’emigrante di Arcumeggia, quando al quinto o sesto anno non c’erano più emigranti da premiare e la festa andava verso l’inevitabile esaurimento.
In seguito anche Lamberto divenne collaboratore della Prealpina, e giornalista pubblicista, specializzandosi naturalmente nei temi del turismo e dell’enogastronomia. Conosceva a menadito il territorio – e le persone – del Varesotto. Ma non solo: la Svizzera, l’Austria, la bassa Baviera per lui non avevano segreti. Se avevi bisogno dell’indirizzo di un albergo di Interlaken o di Berna sciorinava una serie di nomi di amici; altrettanto accadeva se volevi trascorrere una breve vacanza nei dintorni dei castelli di Ludwig o nel Salisburghese. Sulle Ferrovie Svizzere girava con un permanente che gli elvetici, così restii, a lui avevano invece riservato.
Era anche un appassionato di musica classica e lirica – in possesso di una ricca collezione di dischi e di nastri di opere – e di storia locale, tanto da divenire, negli ultimi anni di lavoro all’APT – come s’era ormai trasformata l’agenzia turistica – factotum e collaboratore dell’avvocato Francesco Ogliari, un altro benemerito della cultura e della storia varesine, il fondatore del Museo dei trasporti di Ranco che, da solo, meriterebbe un trattato, scrivendo un’enciclopedia tanto folta di volumi quanto gli innumerevoli libri che, in vita, egli stesso aveva realizzato.
Spostatosi a vivere da Varese a Crenna di Gallarate, dopo il matrimonio con la sua amata Mariangela, insegnante di inglese nelle scuole medie locali, non aveva troncato i suoi legami con il Cantoreggio e con Masnago, nel cui cimitero riposa la mamma. E settimanalmente lo si vedeva in giro per il paese, come quand’era ragazzo.
Aveva combattuto tante battaglie contro il male e altre avversità, in silenzio ma con una forza e con un coraggio senza pari. L’ultima, all’età di sessantasette anni, non gli è riuscito di vincerla. Se n’è andato in fretta. La messa funebre è stata celebrata nel santuario gallaratese del Bettolino da don Erasmo Rebecchi, oggi vicario parrocchiale di Cardano al Campo, ma già coadiutore a Masnago negli anni Novanta. Nella chiesetta tantissimi amici, gente che gli ha voluto bene e che ne ha voluto riconoscere ancora il valore. Anche gli amici del bar dell’Angolo: “Con lui – hanno detto tutti – si stava bene in compagnia”.
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