Due problemi chiamati Schlein e Conte. Forse insormontabili perché si riesca ad allestire un fronte progressista resistente alla minima polemica, allo sgangherato dispettuccio, alla vogliuzza di ribalta. Schlein ha conquistato dall’esterno il Pd, ma ne è malferma interprete dello spirito interno. Diritti, diritti, diritti. E d’accordissimo, evviva. Poi ci sono le questioni della praticità quotidiana, gli accordi per tenere insieme colonelli e militanti, per amministrare gli enti locali, per attrezzare le liste elettorali, per saldare l’intesa con gli alleati. Su tutto questo la segretaria appare poco agile, sfurbita, pragmatica. Ci vorrebbe di meglio al vertice d’una forza politica che rappresenta il 20 per cento degl’italiani e molti altri che la voterebbero, ma si astengono, trattenuti dall’incerto procedere della leadership. Ecco perché il problema Schlein esiste, al netto di circostanze specifiche, come la storia imbarazzante di Bari. Con lei al comando il Pd avrebbe già da tempo dovuto apparire nuovo, incisivo, fascinante. Macché. Sta proiettando un’immagine opposta.
Anche Conte è un conquistatore che viene dall’esterno. Sei anni fa, i Cinquestelle non sapevano neppure chi fosse. Nominato casualmente primo ministro dalla coppia Di Maio-Salvini, assolse con lodevole impegno al compito istituzionale, fra l’altro mutando imperterrito di pelle da una legislatura all’altra come se nulla fosse, prima alleato della Lega e poi del Pd. Un demerito etico, secondo alcuni. Un merito manovriero, secondo altri. I fatti han dimostrato che Conte, dal ’18 in avanti, è stato meglio dell’M5S: mentre il partito si sgretolava, lui acquisiva forza personale. Oggi sono i pentastellati a identificarsi con l’ex presidente del Consiglio e non viceversa. Ma proprio una tal crescita personale ha innalzato l’asticella dell’ambizione: Conte mira al ritorno a Chigi, ne soffrì l’addio al modo di un ingiusto sfratto, non vede chi più di sé stesso meriterebbe il reinsediamento su quell’elevato scranno. E sembra sottendere ogni mossa al progetto, compreso lo strappo di Bari, quasi che le amministrative valessero assai meno delle europee, dove i leader si misureranno personalmente dando significato di consultazione per Roma al voto di Bruxelles.
Schlein che soffre nel dare al Pd un’identità forte, riconoscibile, coesa e Conte che la pretende per sé dagli alleati, sennò non vi si allea affatto, diventano perciò il problema anziché la risorsa/le risorse. Salvo cambi d’indirizzo oggi ritenuti improbabili, se ne avvantaggerà la destra. Universo non certo composito, ma sa trovare l’unità di propagandismo quand’è il momento. Proprio il contrario dell’agire di sinistra, dove tutti corrono verso una meta, però non insieme. Senza essere squadra. Restando lontani da aspettative che pur stanno lì per essere corrisposte. E non lo sono.
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