Il 1° aprile 1934, giorno di Pasqua e data del termine dell’anno giubilare straordinario, papa Pio XI canonizzò don Giovanni Bosco nella basilica di San Pietro, dinnanzi ad una folta platea di giovani.
I figli spirituali del prete piemontese – salesiani, figli di Maria Ausiliatrice, insieme con i loro cooperatori – celebrarono quel giorno il trionfo dell’amato fondatore e dell’impegno educativo al quale dedicò il suo apostolato.
Uomo di umili origini, don Bosco, in un periodo storico complesso come quello del Risorgimento, destinato a concludersi con l’unità d’Italia, sfoderò la tenacia tipica della tempra contadina, alla quale aggiunse, grazie alla sua propensione per i giovani («mi basta che siate giovani, perché io vi ami assai»), una buona dose di originalità, che gli consentì di mutare la struttura tradizionale delle parrocchie cittadine con l’istituzione dell’«oratorio per la gioventù».
A ben vedere l’oratorio esisteva da secoli e nel linguaggio della Chiesa, come in quello dei fedeli, indicava un luogo di culto o una comunità, il cui valore era già stato promosso da alcuni ecclesiastici: in Italia da san Filippo Neri, fondatore della Congregazione dell’Oratorio nel 1575; in Francia dal cardinal Pierre de Bèrulle nel 1611.
Anche nella Lombardia austriaca e veneta non mancava la presenza di luoghi di incontro, detti «oratori», a scopo di preghiera o di catechesi, frequentati in modo particolare da studenti delle scuole ecclesiastiche.
La proposta di don Bosco si innovò rispetto ai modelli precedenti, configurandosi fin da subito come inclusiva, animata com’era dal proposito di aprirsi ad un pubblico più ampio e composito di giovani, spinti a riunirsi fra loro da un desiderio di libera partecipazione, svincolati da qualsiasi costrizione, e in ogni caso ben accolti, a prescindere dalle parrocchie di appartenenza e dai rispettivi ceti sociali di appartenenza.
In questo modo il prete piemontese dedicava la sua opera anzitutto alla «gioventù più povera e abbandonata», a quei ragazzi di periferia che spesso creavano problemi alle città.
Le fondamenta dell’oratorio di don Bosco, inoltre, si basavano sul rapporto di reciproca attrattiva tra adulti e giovani, e sulle colonne del «sistema preventivo», organizzato su tre principi fondamentali: la ragione, istanza che con il secolo dei lumi alle spalle era divenuta una delle caratteristiche principali della cultura moderna; la religione, sulla quale doveva fondarsi ogni buona educazione; l’amorevolezza, ingrediente essenziale per ottenere la piena interrelazione tra educatore ed educando, e per «guadagnare il cuore dei giovani».
Don Bosco avendo il «cuore» come obiettivo del suo progetto educativo, dimostrava l’originalità del suo magistero e dell’innovazione antropologica che la animava. Egli, secondo quanto afferma Pietro Stella in Don Bosco, intendeva valorizzare la componente più intima dell’uomo, prendendo le distanze dalle concezioni filosofiche ilemorfiche, che prevedevano una separazione tra «ragione» e «cuore», quest’ultimo inteso come «capacità di intuizione intellettuale e di amore intenso e istintivo».
Con questi propositi l’opera del sacerdote salesiano, come ebbe a dire Pio XI al rito della canonizzazione, novant’anni fa, era tanto tesa a «formare nei giovani il cittadino e il cristiano degno della patria terrena, il perfetto cristiano meritevole di divenire un giorno membro glorioso della patria celeste», quanto destinata a portare molto frutto in tempi rapidi, e a diffondersi tra i paesi europei (Italia, Francia e Spagna), come anche oltre oceano (Argentina e subcontinente americano), già quando il prete salesiano era ancora vivente.
You must be logged in to post a comment Login