Si scopre il marcio nella Germania Federale, decisa a non versare un euro alle vittime di Hitler. Quando il nuovo Paese rinasceva dalle ceneri della guerra, per mettere in piedi la nuova polizia politica, fece riferimento a dirigenti militari nazisti in funzione anticomunista. Voleva andare sul sicuro, come ebbe a dirmi anni fa (e l’ammissione con altre mi fece trasecolare) il Console Generale di Germania in Italia, il socialdemocratico Manfred Steinkhuler, diplomatico e uomo di grande cultura.
Così avvenne per l’ex capitano SS Karl Theodor Schutz. Un personaggio scolorito e ignoto che nel massacro delle Ardeatine era un passo avanti a Kappler e a Priebke con la pistola in mano. Nel 1944 ordinò infatti con voce secca e tonante di fucilare, come da sommaria sentenza decisa a Berlino dal Fuhrer, i trecentotrentacinque innocenti presi dalle galere di Roma nazifascista. Ostaggi che pagassero nel sangue le trentatrè SS Bozen saltate per aria nell’attentato dei Gap in via Rasella.
Trentanove appartenevano alle formazioni clandestine della Resistenza militare (fra cui il colonnello Cordero di Montezemolo, padre del cardinale di Curia romana), cinquantadue erano aderenti al Partito d’Azione e a “Giustizia e Libertà”, settantacinque erano ebrei, altri erano detenuti comuni.
Qualche anno dopo il boia Schutz entrò nei servizi segreti della Germania Federale, fece carriera, salendo la scala gerarchica nel Dipartimento dello spionaggio di Bonn. Una parabola, quella di Schutz che il quotidiano “Bild” ha offerto ora ai suoi lettori, utilizzando una ricerca di alcuni storici che hanno esaminando in questi mesi gli archivi degli 007 tedeschi. L’effetto è stato quello di una bomba, facendo per un momento impallidire coloro che vogliono mettere la museruola alla cancelliera Merkel.
Theodor Schutz non é da solo perché il suo nome si aggiunge a quelli osceni del capitano Theodor Saevecke, feroce comandante dell’Hotel Regina di Milano, condannato all’ergastolo (in contumacia) pochi anni fa dal Tribunale Militare di Torino per l’eccidio di piazzale Loreto di Milano (quindici fucilati presi da San Vittore) che nel dopoguerra fu uno dei più stretti collaboratori del cancelliere Adenuaer, di Walter Rauff, l’inventore delle camere a gas mobili, esportate anche alla Risiera di San Sabba a Trieste, agente dei servizi in America Latina dal 1958 al 1962, di Karl Josef Silberbauer, l’ufficiale nazista che bel 1944 arrestò Anna Frank, pure utilizzato dai servizi di Bonn.
Schutz aveva alle spalle una carriera da nazista perfetto. Un modello. Era entrato prima nella organizzazione giovanile del Reich, poi nel partito nazista, sino all’invasione nel ’39 della Polonia dove ebbe un ruolo di primo piano nell’immane macello di quel popolo. Chiusa la parentesi a Varsavia, fu inviato a Roma dove venne nominato capo della Sicherheitspolizei, la polizia di sicurezza e del Sicherheitsdienst, i servizi segreti nazisti.
Il 24 marzo 1944 fu lui in persona a dare gli ordini al plotone d’esecuzione che per cinque ore massacrò nel tufo delle Ardeatine le centinaia di vittime con un colpo alla nuca. A fine guerra Schutz tornò a piedi in Germania e, dopo la cattura e l’internamento in un campo di raccolta Alleato, riuscì a scappare e a far perdere le sue tracce, cambiando il nome in Hans Karl Scharinger, trovando lavoro come muratore.
Nel 1952, un ex ufficiale della Gestapo che era passato nelle fila Usa portando con sé una lunga lista di nomi di camerati, lo mise in contatto con il Bnd (i servizi segreti tedeschi per l’estero) che stava muovendo i primi passi e si chiamava ancora “Organizzazione Gehlen”, dal nome del suo fondatore, l’ex generale della Wehrmacht Reinhard Gehlen.
Il profilo professionale di Schutz apparve subito in perfetta linea con le necessità contingenti : l’ex agente SS era un convinto anticomunista e per di più aveva operato nel controspionaggio nazista. Aveva, come scrive ora “Bild”, “utili referenze”, sufficienti perché potesse meritare il ruolo di capo di un importante dipartimento segreto del Bnd, chiamato “Uran”, e composto da una trentina di persone.
Il suo compito doveva essere quello di controllare da vicino le Ambasciate del Patto di Varsavia (la Nato dell’Est) a Bonn, l’Ambasciata polacca e la Missione commerciale russa a Colonia. Il contributo di “Scherhack”, questo il nome in codice che aveva assunto, dovette sembrare a Gehlen così prezioso che decise di proteggerlo dai sospetti del cancelliere Adenauer che ad un certo punto avrebbe desiderato conoscere il passato di Schutz chiedendo a Gehlen il suo dossier.
Il capo delle spie tedesche-occidentali gli fece sapere che i documenti erano in mano ai britannici che non volevano privarsene. Soltanto nel 1966 l’ex gerarca delle SS fu messo alla porta con una liquidazione di settantamila marchi, ottenuta dopo aver ricorso contro il licenziamento. L’accusa era d’aver taciuto al momento dell’assunzione sul suo ruolo nelle esecuzioni di massa in Polonia e a Roma e di aver ordinato il trasferimento di un presunto comunista al campo di Dachau, dove fu ucciso, come ha raccontato il figlio alla “Bild”.
Karl Theodor Schutz è morto nel 1985 a settantasette anni senza essere mai stato individuato e tanto meno sottoposto a indagine giudiziaria né a processi.
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