Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha comunicato la procedibilità dell’istanza di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) presentata ormai 2 anni fa per il progetto di eolico offshore a largo di Civitavecchia.
Il progetto prevede la realizzazione di 27 turbine eoliche galleggianti, tra 22 e 40 km dalla costa, su fondali profondi da 150 a 400 metri, per una produzione energetica di 540 Megawatt (MW). Le pale eoliche al largo del porto laziale sono un fondamentale cantiere della transizione ecologica che ora può finalmente vedere la luce.
Siamo ad un passaggio importante e positivo per la crescita delle rinnovabili, perché a Civitavecchia oggi c’è il fumo della centrale a carbone di Torrevaldaliga Nord, luogo più inquinante e climalterante d’Italia, ed è necessario che proprio qui prenda corpo la transizione energetica, in grado di costruire una nuova ricchezza nel pieno solco dello sviluppo sostenibile.
Il Paese va liberato con estrema urgenza dalle fonti fossili. L’IPCC ci ha allertato: il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato e la temperatura media in Europa ha già raggiunto un aumento di 1, 2°C rispetto al 1990. Quindi ogni annuncio di sostituzione di carbone, gas o petrolio con un mix di energie pulite risponde positivamente alla crisi climatica, dando vita a sane politiche industriali, a generazione elettrica diffusa e comunitaria, a nuova e buona occupazione.
Nel dopoguerra Civitavecchia venne individuata come sede ideale per impianti di produzione termoelettrica grazie ad alcune condizioni favorevoli: la posizione baricentrica rispetto alla rete nazionale di distribuzione elettrica, un porto che facilitava gli approvvigionamenti e la disponibilità di grande quantità d’acqua per il raffreddamento.
Ma il danno ambientale e sanitario della centrale di Torrevaldaliga nord, con emissioni di 835 tonnellate di ossidi di azoto, di 769 tonnellate di anidride solforosa e di 2.860.000 tonnellate di anidride carbonica all’anno, ha causato tredici morti premature all’anno, danni economici per inquinamento locale pari a 30 milioni di euro ed a livello globale il peso di emissioni di CO2 pari a 96 milioni.
Ma di chi è il merito di questa riconversione? La mobilitazione degli ambientalisti locali contro il carbone non è venuta mai meno nel corso degli anni, finché Enel, pressata dal nuovo clima di allarme per il riscaldamento globale e sollecitata dalle prospettive indicate dall’Europa per il superamento del carboneannuncia di essere intenzionata a convertire a gas la centrale di Torrevaldaliga Nord.
Il vaso è però troppo colmo: la sofferenza patita dall’ambiente e dai cittadini pretende molto di più e punta ad una riconversione verso le energie rinnovabili, facendo di Civitavecchia un modello di rilevanza nazionale, sostenuto da una mobilitazione molto ampia. Sotto questa spinta democratica, Enel accetta la prospettiva di rinunciare al gas e apre il confronto su soluzioni alternative e non più fossili. Il movimento popolare viene supportato da un gruppo di ricercatori e tecnici che elabora un progetto alternativo: produzione di elettricità esclusivamente da fonti rinnovabili, stabilizzate nella loro intermittenza da stoccaggi di idrogeno verde prodotto sempre da fonti rinnovabili. Sul progetto si è aperta una discussione, sono state coinvolte le associazioni e – fatto straordinario – si sono mobilitati i lavoratori, che hanno scioperato a più riprese. E già per questo fatto la vicenda di Civitavecchia rappresenta una svolta: dimostra che il mondo del lavoro è in grado di andare oltre la tradizionale posizione produttivistica e difensiva, può sottrarsi al ricatto occupazionale e diventare punto di riferimento essenziale di una possibile “coalizione sociale” per il cambiamento del modello di sviluppo e per la riconversione ecologica dell’economia.
Entro il 2025 verrà attuato il phase out dal carbone che oggi alimenta la centrale e dovrebbe essere consentito l’assemblaggio delle turbine in porto e, poi, il loro traino al largo, mantenendo ed anzi accrescendo l’occupazione dell’attuale impianto a carbone e del suo indotto.
Il progetto di riconversione è stato largamente condiviso sia a livello istituzionale, politico, sindacale e sociale nel territorio. Quella di Civitavecchia, quindi, è una vittoria dal basso, popolare, associativa, basata su un’accurata verifica scientifica e con un serio riscontro industriale.
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