La crisi economica mondiale, scoppiata in America nel 2008 e deflagrata anche in Europa, è sicuramente la più grave dopo quella del 1929 e ha sconvolto Paesi e popolazioni con il suo triste retaggio di disoccupazione e di miseria.
La brutalità della recessione smentisce la presunta razionalità del sistema economico finanziario e richiama la necessità che esso sia sottoposto ad un’etica superiore, disancorata dall’arbitrio umano.
Molti economisti hanno individuato la dinamica della crisi a partire dall’enorme debito accumulato dagli Stati, dalla bolla speculativa dell’edilizia americana, dalla pressione dei mercati, dall’aggressività della finanza non regolata dalle leggi in difesa dei cittadini.
Una diagnosi molto interessante della recessione è quella formulata da Edmondo Berselli, che economista non è ma uomo di cultura di grande sensibilità, direttore della rivista “Il mulino”, che prima della sua recente scomparsa ha scritto un denso volumetto sulla “Economia giusta” edito da Einaudi.
La sintesi dell’autore è che le difficoltà economiche attuali dipendono da una “gravissima crisi di redistribuzione” delle risorse.
Le società bene ordinate prosperano sinché riescono a distribuire con sufficiente equità il benessere che producono; negli ultimi trent’anni invece, sotto l’impulso della teoria neo-liberista della scuola americana, le risorse prodotte sono state distribuite in modo palesemente ingiusto, così che le distanze sociali tra le persone si sono enormemente allungate: chi era ricco lo è diventato di più, e chi faceva fatica a vivere è sprofondato spesso nella povertà anche nei Paesi sviluppati.
Nella società fordista, ad esempio, si riteneva normale che un “manager” guadagnasse trenta volta di più di un lavoratore, oggi invece il rapporto è superiore a trecento volte la retribuzione di un dipendente. La ricchezza prodotta è affluita prevalentemente alle élites privilegiate impoverendo i ceti medi che hanno visto diminuire il loro potere d’acquisto.
Tale impoverimento è stato inoltre accentuato dalla delocalizzazione delle industrie verso i Paesi depressi a motivo del basso costo del lavoro e dalla mancanza di tutele sociali per i lavoratori. Le imprese multinazionali, investendo in altri continenti, stanno provocando la deindustrializzazione dell’Occidente ma non hanno migliorato le condizioni di vita dei lavoratori autoctoni, aumentando soltanto i loro profitti.
Edmondo Berselli non nasconde la sua preferenza verso il “sistema tedesco”, rispetto a quello capitalistico “anglosassone”, che si è rivelato più solido e affidabile nella temperie finanziaria.
Difendendo il “modello renano” in realtà difende la concezione filosofica e politica che ne è alla base, fatta di solidarietà e di partecipazione, per cui il potere economico è saggiamente bilanciato tra i soggetti sociali.
Sono state le forze di ispirazione democristiana e socialdemocratica a creare questo sistema dopo la distruzione del precedente ordine economico durante la seconda guerra mondiale.
Il disastro che ne è derivato ha creato le premesse per sperimentare un ordine nuovo post-capitalistico, nella ricerca di una nuova sintesi umanistica, auspicata dai Pontefici nella Dottrina Sociale della Chiesa.
Anche l’Italia si era mossa in questa direzione e, nel dopoguerra, il nostro sistema di economia mista era oggetto di ammirazione e di imitazione in tutta Europa, ma le interferenze dei partiti e il loro sistema clientelare hanno vanificato tale modello e hanno aperto la strada ad una politica indulgente verso gli umori della gente, che ha rinunciato a perseguire programmi di lungo termine.
L’esempio tedesco è tuttora attuale perché non si può uscire dalla crisi lasciando inalterati gli attuali meccanismi di redistribuzione; occorre invece che l’economia si affidi a un nuovo umanesimo e ad una nuova filosofia della società.
Secondo il filosofo Geminello Preterossi (nel suo saggio “La politica negata” edito da Laterza) la caduta delle ideologie ha fatto largo all’idea che la globalizzazione, il mercato, la tecnica, la pura amministrazione potessero reggersi da sole, ma questa concezione costituisce anch’essa una nuova ideologia, più subdola e pervasiva delle precedenti, mostrandosi come una nuova naturalità da accettare come un dato di fatto. La politica è caduta in discredito e in tutte le democrazie si sono sviluppati l’antipolitica e il populismo come compensazione della crisi della democrazia. La politica però riemerge come riaffermazione dei bisogni di sicurezza e di identità, conseguente al dilagare di conflitti senza regole.
Anche la situazione italiana non migliorerà se non cambierà la visione della società: da luogo in cui prevale la conflittualità a prospettiva e occasione di collaborazione e di coesione sociali.
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