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Storia

IL CONCILIO DI NICEA

LIVIO GHIRINGHELLI - 29/03/2024

niceaLa situazione precostantiniana della Chiesa ha registrato nel caso dell’eresia monarchiana di Paolo di Samosata e delle vicende critiche del regno di Palmirala una remissione delle controversie religiose al giudizio di Roma da parte dell’imperatore Aureliano. Le varie persecuzioni da tempo intervenute con decisioni difformi in ordine al problema dei lapsi e alla loro riammissione nella Chiesa e al battesimo, osteggiata per il permanere dei settori rigorosi decisamente avversi ai traditores, che hanno consegnato alle autorità pagane i libri sacri, perché fossero bruciati, rendono ora particolarmente agitata la situazione.

Ritenendo a Chiesa una comunità di santi, i donatisti reputano nulli i sacramenti conferiti dai vescovi peccatori, in quanto indegni. Tanto più gravi risultano i problemi nella Chiesa cartaginese, lacerata in profondità anche a causa della morte del vescovo, che avrebbe voluto portare la questione in conclave.

Dopo la terribile persecuzione di Diocleziano il pericolo maggiore per l’unità e l’universalità del messaggio cristiano a seguito della vittoriosa battaglia di Ponte Milvio sul rivale Licinio (28 ottobre 312) conseguita da Costantino, è costituita dal diffondersi dall’arianesimo, divampato a partire dall’Egitto. Prete influentissimo d’Alessandria, Ario nega la divinità della seconda persona della Trinitàm, il figlio della madre Logos nell’ambiente ecclesiastico di cultura greca e verbum in quella latina.

Cristo non è per natura consustanziale al Padre, ma è solo la creatura più eccelsa di Dio, creata dal nulla, subordinata al Padre e priva dell’attributo dell’eternità, capace comunque in qualità di uomo di uno sviluppo etico. Costantino, l’Augusto d’Occidente, che in quanto tale è anche Pontifex maximus, garante della pax deorum, convoca un sinodo considerato alla stregua di un organo giuridico; ottenuto da Roma il judicium episcopale lo approva e informa il suo vicarius Africae con una epistola, fonte di diritto con validità di legge. Non chiudendosi la controversia, un secondo sinodo è celebrato ad Arles nel 313, non si giunge a conclusioni tra le rimostranze dei donatisti. Preoccupato soprattutto dell’Oriente allora Costantino convoca nel 325 il concilio di Nicea.

Ario, scomunicato dal suo vescovo Alessandro, è fuggito dall’Egitto, ma vi conta parecchi sostenitori, compresi i vescovi d’area siro-palestinese, contrari alle ambizioni primaziali accarezzate dalla sede di Alessandria. La sede del concilio ecumenico Nicea è città della Bitinia non lontana dalla sede imperiale di Nicomedia, Izmir. L’imperatore, novità assoluta, partecipa al concilio, prassi che diverrà consueta, e ne pronuncia sia il discorso d’apertura che quello di chiusura. Sigilla la conclusione col timbro della legge. La Chiesa diventa un organismo statale, di cui l’imperatore è guida.

Solo una manciata dei vescovi proviene dall’Occidente, duecentocinquanta provengono dall’Oriente. La soluzione, imposta da Costantino, afferma che il Figlio è homoousios della stessa sostanza del Padre. Non risultando certa la partecipazione di Ario, la presidenza è affidata ad Osio di Cordova, primo a sottoscrivere il Simbolo, immediatamente seguito dai legati papali.

I venti canoni della professione di fede condannano inequivocabilmente sia l’arianesimo, che ogni subordinazionismo del Logos al Padre. Cristo vi è definito Figlio di Dio unigenito della stessa sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale al Padre. La confessione di fede è adottata dal Concilio il 19 giugno 325, sottoscritta da 220 vescovi presenti e promulgata dall’Imperatore come legge imperiale. Costantino, comunque, che è giunto al crepuscolo del suo regno (muore nel 337) non riesce a venire definitivamente a capo della controversia cristologica, che si trascinerà fino alla metà del secolo successivo.

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