Era il 2010, l’anno del mio viaggio in Israele. Ci ripenso sempre più spesso, dopo l’attentato del 7 ottobre e l’attacco a Gaza. Sembra un’altra vita. Non che allora non si avvertissero le tensioni: era evidente che sul territorio vivevano culture e religioni diverse senza condividere nulla, senza neppure dialogare. Ricordo, ad esempio, come rimasi sconcertata percorrendo la Via Crucis verso il Golgota. Mi aspettavo qualcosa come il nostro Sacro Monte, un sentiero silenzioso, che inducesse al raccoglimento e alla meditazione; invece si procedeva in un vicolo stretto, tra botteghe artigianali da cui i proprietari, per lo più arabi, uscivano ad invitare i turisti agli acquisti. Ogni tanto, su un muro, si scorgeva una targa che richiamava le varie Stazioni della Via Crucis. Eppure si respirava una sorta di pace, come un tacito accordo a non interferire più di tanto gli uni nella vita degli altri. Non era la Pace, ma almeno la speranza di potere, prima o poi, raggiungerla.
Anche i luoghi sacri del Cristianesimo furono, per lo più, una delusione: chiese enormi, quasi tutte moderne, quella della Natività in restauro, senza nessuna protezione per chi entrava a visitarla mentre dai ponteggi venivano calati attrezzi vari; pellegrini e turisti vocianti ovunque; la riflessione, il raccoglimento pressoché impossibili. Anche lì la Pace era solo una speranza.
L’unico luogo di cui riuscii a percepire la sacralità fu il Monte degli Ulivi. Forse perché ci entrò solo il nostro gruppo; forse perché solo per noi vi fu celebrata una Messa in italiano, nella Chiesa di tutte le Nazioni, che sorge ai margini dell’Orto del Getsemani; forse perché l’ulivo è da sempre simbolo della vita, della forza e della tenacia con cui si cerca e si mantiene la pace. E, infine, perché sembrava che lì parlassero soltanto gli ulivi: grossi tronchi contorti – sofferenti eppure solidi -, ampie chiome argentee, testimoni di secoli di storia. La guida ci disse che erano stati esaminati da esperti e che alcuni risalivano a 2000, 2500 anni fa. Pensare che quelle piante avessero assistito ai fatti narrati dai Vangeli faceva ammutolire anche i non credenti. Era naturale restare in silenzio e ascoltare.
La speranza, nella Pasqua di oggi, è che tacciano anche le armi, in quella terra e nel resto del mondo, che si impari dall’ulivo il coraggio di vivere.
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