Carlo Meazza ci ha mandato questa foto-shocking da Venezia. Shocking perché ci scuote il sentimento. Mischia razionalità e stupore. Lascia senza occhi e senza fiato. Un bastimento da crociera che si staglia sopra l’antica città marinara. La sovrasta. Vi incombe. La opprime. Per essere più precisi nella sensazione fisica e spirituale: la invade. Venezia invasa dalla modernità, badando a nessun riguardo. Chi bada ormai a qualcosa nei confronti di chi? Ecco la nanoriflessione che una così giganteggiante fotografia allerta. Un colpo artistico, bravo (as usually, come sempre) il maestro Carlo; ma anche un colpo al cuore (scusate il palpito di retorica).
Invadere, dunque. Il verbo, la sua espressività, il significato denunziano sintonia con i tempi. L’immagine è specifica nel realismo, simbolica nel messaggio. Siamo nell’epoca dell’invasione continua, insistita, potremmo dire perpetua. Dell’infiltrazione oltre la soglia altrui. La soglia dell’osservanza, del rispetto, della prudenza, del pudore. La soglia del buonsenso. La soglia del limite. Siamo nella civiltà dove tutto, quasi tutto, sembra sforare il limite: fuori misura, fuori logica, fuori tempo. Tutto invade tutto e invade tutti, con un effetto formalmente invisibile che invece l’istantanea scattata al canale della Giudecca mostra nella sua dirompente visibilità.
La nave carica di turisti che squarcia la sacralità paesaggistica e storica di Venezia è la semplice e sbalorditiva rappresentazione dell’infiltrarsi della protervia nelle pieghe della contemporaneità. Dà l’idea d’una sorta d’occupazione, prima che degli spazi materiali, dello spazio immateriale dentro ciascuno di noi: lo spazio dell’anima. Ne va alla conquista, lo solca senza ritegno, muove le onde della prevaricazione, minaccia d’annegarvi ogni sussulto di ribellismo avverso alla scorreria. È come se fossimo pirateggiati da queste incursioni rese legittime dalle leggi secolari e invece così illegittime davanti alla legge naturale della civiltà; ed è come se non vi potessimo che assistere, allo stesso modo in cui assistiamo all’invasione (l’invasione, appunto) delle tenebre nell’aria del giorno che se ne va.
È insomma una percezione di resa, quella che ci comunica questa fotografia. Di rassegnato inchinarsi all’arroganza economica. D’irrimediabile schiacciamento psicologico sotto un non resistibile potere. Infine di viaggio in direzione dell’assurdo. Che cosa pensa mai d’attraversare quell’esagerato grattacielo degli oceani, se non una volgare inconsistenza culturale? E dove pensa mai d’ormeggiarsi se non all’approdo del nulla, dopo un’escursione artificiosa al punto da trasformare in set di cartapesta lo scenario Serenissimo, allestito con fatica e ingegno di generazione in generazione? Vogliamo credere (la fantasia ci vuol far credere) che le persiane silenziosamente chiuse del palazzotto seicentesco, lì sulla sinistra, siano la risposta offesa alle cabine chiassosamente aperte del transatlantico, lì dal centro alla destra. L’illusione è l’unica a rifiutare la disillusione. Non solo a Venezia. Ma chissà se è un bene o invece un male.
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