Il 21 marzo la Chiesa ha commemorato, a cinque anni dalla morte, Anna Maria Cànopi (1931-2019), monaca e badessa benedettina, fondatrice del monastero Mater Eccleasiae di Orta san Giulio.
Chi ha avuto occasione di incontrarla di persona, o di ascoltare le interviste che ha concesso, non può dimenticare il suo sguardo accogliente e benevolo, la sua voce sottile, e la sua intensità umana e spirituale. Quando parlava dava l’impressione di attingere le parole dal silenzio profondo nel quale si era raccolta per il suo sconfinato amore per Cristo, al quale dedicò una vita intera.
La madre Cànopi, al secolo Rina, piacentina di origine, prima di scegliere la clausura si laureò presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove maturò la sua vocazione monastica grazie al sostegno spirituale di monsignor Aldo del Monte, poi vescovo di Novara dal 1972.
Terminati gli studi, l’8 luglio 1960, entrò nell’abbazia benedettina di Viboldone, in provincia di Milano, dove scelse per sé il nome di Anna Maria, e cinque anni più tardi, nel 1965, celebrò la professione solenne.
La sua sconfinata cultura biblica, insieme con la profondità spirituale, la condusse in Vaticano, dove al termine del Concilio si occupò della revisione della traduzione della Bibbia e della preparazione dei nuovi libri liturgici.
Tuttavia, la sfida più significativa doveva ancora presentarsi: l’11 ottobre 1973 monsignor del Monte, ormai vescovo, chiese alla madre Cànopi di fondare un cenobio benedettino sull’isola di San Giulio, nella cornice del lago d’Orta.
La madre accettò, e con cinque monache costruì l’anima spirituale del monastero Mater Ecclesiae, che nel 1979 ottenne la benedizione abbaziale, e negli anni successivi divenne sempre più un centro di attrazione per turisti e pellegrini, e per tutti i curiosi dei ritmi della vita claustrale.
Il desiderio di «essere figlia della Chiesa», la condusse a collaborare con Giovanni Paolo II, nel 1993, diventando la prima donna a firmare e a contribuire alla redazione del testo della Via Crucis al Colosseo; successivamente, nel 1995, su richiesta della Cei, partecipò al Convegno Ecclesiale di Palermo, con un intervento dal titolo Il Vangelo della carità attuato nella vita monastica, e coadiuvò il cardinal Ratzinger nella revisione del compendio del Catechismo della Chiesa cattolica.
La madre Cànopi, dunque, non fu solo dedita alla vita contemplativa sotto la guida della regola benedettina, ma anche autrice proficua di libri sulla spiritualità monastica e cristiana.
Dagli episodi più significativi della sua biografia, si coglie il notevole contributo spirituale e pragmatico che offrì alla Chiesa, ponendosi nel solco delle grandi mistiche medievali cui era solita ispirarsi (Ildegarda di Bingen, Matilde di Hackeborn, Gertrude di Helfta).
La sua vita costituisce per noi, e per tutta la comunità ecclesiale, un’alta testimonianza di carità, che invita a riflettere da un lato sul contributo insostituibile delle donne anche nella vita della Chiesa, e dall’altro a ravvisare come la madre abbia reso la sua azione sia nei confini delle mura del monastero, come fuori, un’occasione di testimonianza di fede, che «se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta» (Gc 2,14).
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