Capita ogni tanto di discutere di politica con gli amici. L’altro giorno, mi è capitato di farlo con uno di vecchia data, impegnato da sempre in politica che, candidamente, mi ha confessato “non so se la prossima volta andrò a votare”. Proprio lui, che con gli appuntamenti elettorali era sempre stato come un orologio svizzero! Ma non è il solo a non saper chi votare. Ormai è un sentire diffuso, che accomuna una buona metà dei nostri connazionali. Magari poi, alla fine, il giorno delle urne, si va comunque al seggio, più che altro per un dovere civico che per convinzione. Ma se potessimo misurate i sentimenti e non le intenzioni, i votanti sarebbero ancora molti di meno. Perché si è fatta strada, sempre di più, la convinzione che sia un esercizio inutile, come dimostra la curva che misura l’affluenza ai seggi, piegata sempre più verso il basso, come confermano le elezioni regionali di queste ultime settimane.
A Cagliari non c’è stato l’astensionismo a valanga che si temeva. Comunque, però, alla fine ha votato solo il 52,4 per cento degli aventi diritto, 758mila elettori su un milione e 447mila. È andata peggio in Abruzzo dove si è registrata l’affluenza più bassa di sempre, con poco più del 52%. Secondo l’Istituto Cattaneo, che ha analizzato i flussi elettorali, a pesare nel confronto sarebbe stato soprattutto l’astensionismo degli elettori del Movimento 5 Stelle, che hanno raccolto solo il 7% contro il 22,4% del 2019. Non avrebbero gradito le alleanze con Pd e centristi e poi, come in passato, prevale “la tendenza ad astenersi in occasione di elezioni locali”. Ma pare abbia pesato anche la “volatilità” del voto dell’area liberale ed europeista, ovvero di Azione, Italia viva e +Europa.
A livello di elezioni politiche le percentuali sono un po’ più alte rispetto a quelle amministrative. Si viaggia intorno al 60%, ma tra il 2018 e il 2022 c’è stata una caduta brusca di ben nove punti percentuali. Nel 2018 non aveva votato il 27,7 % di elettori, mentre cinque anni dopo si è arrivati ad un’astensione del 36,09%. E rispetto al passato le differenze sono abissali, se si pensa che tra gli anni ’60 e ’80 era meno del dieci per cento la quantità di aventi diritto che non partecipava al voto. Perché tutto questo disinteresse? Chi è che non va più a votare? E perché? Le ragioni sono diverse, ma sostanzialmente si tratta di un fenomeno di disaffezione, motivato da una sfiducia sempre più accentuata verso il sistema dei partiti, che ha un inizio preciso con Tangentopoli (1992), investe il Governo Monti (2011) e arriva a noi. Interessa indistintamente i due blocchi in cui è diviso il quadro politico nazionale, quello di centro-destra e l’altro di centro-sinistra. Due schieramenti ben identificati e distinti, di peso pressochè equivalente, tra i quali gli scambi elettorali sono insignificanti. Sono pochissimi gli elettori che transitano da un blocco all’altro. Gli scambi avvengono all’interno di ciascun blocco (Ghisleri, la Stampa 13.3.24). Per cui, accade che Salvini, in un primo momento (2019), guadagni voti a scapito di FI e poi li perda a favore di FdI (2022). Lo stesso accade nel centro sinistra tra 5S e PD. La differenza tra vincere e perdere sta nel livello di astensione all’interno di ciascun blocco.
E, più in particolare, sta nel fatto che “Tra gli elettori di destra, solo poco più del 6%, di spiccata provenienza Forza Italia, si definisce astensionista o incerto. Nel campo dell’opposizione [il cosiddetto campo largo], aleggia al contrario una sorta di insicurezza, indecisione, incapacità di vedersi interprete attivo della vita democratica, quanto meno attraverso l’espressione del voto” (Roberto Biorcio e Paolo Natale, 2024). Dunque, ne ha di strada da fare il centro-sinistra per ritornare il gioco, costruire una narrazione e dare una visione. Indecisione, disaffezione e atteggiamento negativo nei confronti dei propri partiti di riferimento si trovano “in particolare nello stesso Partito democratico, dove oltre il 15% dichiara la propria mancata propensione a recarsi alle urne nei prossimi appuntamenti elettorali, contro valori vicini a quel 3-4% che caratterizza l’elettorato di destra e di centrodestra” (Ibid.). Il gioco pare stia tutto qui.
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