“Basta un foglio di carta e una matita e il gioco è fatto” affermava Montale nel discorso del Nobel. A saperlo prima, avremmo potuto ottenere tutti il premio Nobel, almeno tutti noi che abbiamo imparato a scrivere usando la matita. Scherzi a parte, mi ha intenerito questo richiamo alla matita, mi ha riportato indietro al mio primo approccio con la scrittura: pagine intere di aste, filetti e non ricordo più cos’altro, prima di tentare con le lettere, le sillabe e infine con le parole. Tutto rigorosamente in corsivo.
La penna arrivava più tardi, col pennino da intingere nell’inchiostro; i pennini erano di diversi tipi, il più importante quello per gli esercizi di calligrafia: due o tre righe vergate con estrema attenzione alla fine di un dettato, da cui le separava una greca e la scritta, appunto, Bella scrittura. La stilografica era per i “grandi”, di solito un regalo per la Prima Comunione, ma a scuola non si poteva usare: non consentiva di scrivere in modo elegante – linee ascendenti sottili, linee discendenti più larghe. La biro assolutamente vietata. Lo stampatello era concesso solo ai bambini che, prima di frequentare la scuola, volessero imparare a scrivere il proprio nome. Era un percorso lungo, ma sono convinta che sia servito a farci crescere: scrivere in corsivo ci dava il tempo di pensare a ciò che volevamo dire, era un gesto che ci abituava all’analisi e all’approfondimento.
Oggi in alcuni Paesi, come la Finlandia, è stato eliminato l’obbligo di imparare a scrivere con carta e penna; in Messico si impara solo lo stampatello; negli Stati Uniti, dove nel 2009 era stato eliminato l’obbligo del corsivo, alcuni Stati l’hanno reintrodotto. In Italia viene introdotto nel ciclo primario con tempi diversi, a seconda delle scuole e degli insegnanti.
Sembra che il problema nasca dal fatto che i bambini incontrano difficoltà perché sono abituati a tastiere e touch-screen, ma gli studi che si sono occupati dell’argomento sono contraddittori e quindi poco attendibili, anche perché il fenomeno è troppo recente. Secondo alcuni, i bambini che soffrono di Disturbi Specifici dell’Apprendimento riescono più facilmente a scrivere in stampatello o su una tastiera.
Altri sostengono, al contrario – ed è una tesi che mi convince di più -, che alcuni disturbi dell’apprendimento dipendano proprio dalla perdita del corsivo: una ricerca, riportata da Focus e che, tuttavia, risale al 2016, ha rilevato che, “a partire da circa 9 anni, i bambini che scrivono in corsivo sembrano in grado di comporre testi più fluidi e migliori nell’ortografia, come se il fatto di legare le lettere nel tratto con la penna aiutasse anche la composizione delle parole e delle frasi. E altre ricerche sostengono che il corsivo, che richiede una coordinazione tra l’occhio e la mano e capacità motorie fini, potrebbe essere d’aiuto agli alunni dislessici.”
Diverso, a mio parere, il discorso per un adulto che abbia già acquisito tali abitudini: io, ad esempio, amo molto scrivere sulla tastiera, apprezzo la possibilità di correggere senza pasticciare il foglio, di spostare interi capoversi per ottenere una maggiore chiarezza argomentativa, di fare copia/incolla con testi che ho già scritto, di poter leggere chiaramente ciò che ho prodotto. Infine, mi piace la morbidezza dei tasti, la leggerezza dello sfioramento, che mi fa dimenticare la fatica che facevo un tempo sulla macchina da scrivere. E credo che ciò agevoli la ricerca di un lessico preciso che possa esprimere al meglio il pensiero. Ma è proprio perché ho acquisito da piccola l’abitudine a riflettere mentre scrivo che ora la tecnologia può essere un aiuto e non un ostacolo.
Se alcuni trovano difficoltà a scrivere in corsivo, il problema non si risolve abbassando il livello di difficoltà per tutti: bisognerebbe attuare un insegnamento individualizzato – possibile, mi rendo conto, solo in una scuola ideale, non certo nella nostra.
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