Dieci anni senza Giancarlo Gualco. Il grande “architetto” della Ignis che per oltre un decennio dominò il basket italiano ed europeo si spense a 81 anni il 12 marzo 2014 lasciando una eredità che difficilmente potrà essere raccolta.
Forse è soltanto una sensazione personale ma è forte l’impressione che le nuove generazioni, anche coloro che coltivano una grande passione per lo sport, conoscano poco o nulla degli eventi che hanno preceduto le realtà attuali, anche quando (ed è naturalmente il caso del basket a Varese) sono state scritte pagine indimenticabili e gli albi d’oro sono lì a testimoniare trascorsi carichi di gloria sportiva.
E allora certe ricorrenze possono servire a rievocare personaggi e fatti che il tempo ha confinato nell’oblio e che invece non meriterebbero una sorte così maligna.
Non staremo qui a ricordare ciò che ha realizzato Giancarlo Gualco in campo sportivo, anche se è impossibile non ribadire che i suoi successi non si sono limitati ai quasi tre lustri trascorsi al vertice della Pallacanestro Varese nel periodo più luminoso della sua storia ma si sono estesi anche alla guida della Robur et Fides (sfiorando la promozione in serie A2, stoppato solo dalla Trieste di Tanjevic), all’ippica (la sua grande passione, fu proprietario della scuderia Razza Giallorossa con il fenomenale Morigi) e all’hockey su ghiaccio (rilevante il suo contributo alle sorti dei Mastini).
Ci piace invece focalizzarci su due eventi, forse i più rilevanti della fantastica avventura sportiva di Giancarlo Gualco.
Il primo, naturalmente, è la nascita della “grande Ignis” nell’estate del 1968. La squadra, della quale lui è diventato dirigente a metà della stagione 1967-68, è reduce da un campionato deludente (quinto posto, il peggior risultato degli ultimi dieci anni), così diventa anche più facile la decisione di rinnovare non solo i ranghi societari ma soprattutto il parco giocatori. Gualco deve rendere conto soltanto al presidente Adalberto Tedeschi, sempre molto attento anche alle questioni tecniche, ma agisce in autonomia e assume le decisioni chiave di quel preciso momento storico: consegna la squadra a Nico Messina, forse non il meglio sul piano tecnico ma dotato di grande personalità, ma soprattutto decide di affidare al diciottenne Dino Meneghin il ruolo di pivot titolare, spinto anche dalla decisione di Enrico Bovone di cedere alle lusinghe economiche della Pallacanestro Milano. Ed ecco un aspetto che Giancarlo ha sempre ammesso: la buona sorte. “Sono un uomo fortunato”, ha detto più volte di sé, della sua vita e delle sue scelte professionali. E sicuramente la fortuna in qualche occasione gli ha dato una mano. Che cosa sarebbe accaduto se Bovone, in quel momento miglior pivot italiano, non avesse preteso di essere ceduto? Quale spazio avrebbe avuto Meneghin, subito impattante al di là di ogni attesa?
E poi Aldo Ossola, altro giocatore chiave nella storia della grande Ignis: nella contropartita per Bovone la Ignis vorrebbe Eligio De Rossi, stella in ascesa, ma Milano dice no e rispedisce a Varese Ossola che non ha brillato. Di più: Gualco deve impegnarsi per piegare le resistenze di Giovanni Borghi che Ossola proprio non lo vorrebbe di ritorno per qualche dissapore pregresso.
E poi Manuel Raga. Tutti o quasi in Italia schierano un pivot americano ma Varese punta su Meneghin, al quale mette a fianco l’esperto Ottorino Flaborea, di rientro da Napoli. Dopo avere pensato a Guerrero, altra ala messicana, Gualco vede in azione Raga in un torneo estivo in Abruzzo e se ne innamora, a dispetto della statura non eccezionale, compensata però da un’elevazione questa sì eccezionale. Da Forlì arriva poi Chicco Ovi, eccellente tiratore che, da guardia, dovrebbe affiancare il playmaker Massimo Villetti, tra i pochissimi confermati, insieme con Dodo Rusconi. Nel giro di poche partite, però Ossola e Rusconi soppiantano Villetti e Ovi e si compone così il magico quintetto che, contro ogni pronostico, vince lo scudetto del 1969.
Un dettaglio sugli anni seguenti, che vedono l’Ignis-Mobilgirgi-Emerson sempre vittoriosa sino al 1980: della formazione iniziale rimangono all’ultimo capitolo soltanto Ossola e Meneghin, chiara dimostrazione che le scelte di Giancarlo Gualco nel corso degli anni (e sono moltissime) si rivelano quasi tutte azzeccate.
Il secondo episodio che ricordiamo riguarda la creazione della cosiddetta “Finanziaria” che salva la Pallacanestro Varese nell’estate del 1981, dopo il disimpegno di Guido Borghi. Giancarlo Gualco ha l’intuizione di creare un pool di soci per raccogliere ciò che serve per proseguire l’attività, rastrellando circa 750 milioni di lire. Toto Bulgheroni, i fratelli Gianfranco e Claudio Castiglioni, Ariberto Tamborini e Ilario Legnaro garantiscono la base più importante (400 milioni), le altre quote le acquistano piccoli e piccolissimi soci, desiderosi di offrire il loro contributo per la salvezza di una bandiera della Varese sportiva.
L’idea viene ripresa nella stagione dello scudetto dei Roosters nel 1999, stavolta con un pool di sponsor, e anni più tardi ispira Cecco Vescovi per il “Consorzio” che sino a pochi giorni fa, prima del cambio della struttura societaria voluto da Luis Scola, ha garantito l’attività della Pallacanestro Varese.
Dieci anni fa concludemmo così un articolo per la Prealpina dedicato alla scomparsa di Giancarlo Gualco: “La città gli deve moltissimo, speriamo non se ne dimentichi”. Con amarezza diciamo oggi: speranza delusa…
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