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Andateci

VAGHISSIMA CAPPELLETTA

SILVANO COLOMBO - 08/03/2024

buzziC’è una pietra preziosa incastonata nell’altare maggiore della basilica di San Vittore a Varese.

Il castone è il tabernacolo; la pietra preziosa è la portina bronzea del tabernacolo, opera egregia dello scultore di Viggiù Elia Vincenzo Buzzi (1708-1780).

Vediamo il tabernacolo. Scrivevo, nell’opera citata l’altra volta, a pagina 213, “in sé un oggetto di raffinatissima ebanisteria marmorea, degno di esser comparato ai lavori che nel quarto decennio [del Settecento] Pietro Piffetti inventava e realizzava a Palazzo Reale di Torino, architettonicamente appare come vaghissima cappelletta, quasi sul tipo degli ossari che venivano eretti sui sagrati delle chiese o delle edicole a nicchia di un altare fatto segno di particolare devozione o delle sontuose Machine da erigersi provvisoriamente per qualche importante cerimonia. L’impianto, ancora una volta deliziosamente mistilineo: una fuga musicalmente legata nella struttura ed al tempo stesso sciolta nella coloritura, si perde all’occhio non dando punto di riferimento marginale ma smussando e rinviando in un continuum mozzafiato piani e sagome e modanature, arricchite dalla variopinta pelle dei marmi [con inserti di lapislazzuli.n.d.a.]e dalle accensioni dei bronzi dorati al mercurio. È un esemplare squisito di arte che combina il mobile intarsiato con la più ricercata oreficeria, risultando come una preziosa pendola appoggiata sul piano di un elegantissimo cassettone”.

Vediamo la portina. Essa propone “Gesù alla cena di Emmaus”. I due discepoli, contrapposti, seppur seduti manifestano una improvvisa inquietudine. Ne sono segnali i piedi e le gambe che si aprono in diagonale e le vesti che vengono scomposte, nella loro abbondanza, dal movimento indotto dai corpi dei discepoli. Tra di loro si vede la tavola, scorciata, che porta alla figura di Gesù, impostata non con posa ferma, alla maniera di Leonardo o di Caravaggio, ma anch’essa attraversata da una forza che ne scompone l’assetto in quanto rivela l’altissimo messaggio che viene dato. Il giovane servente, sulla sinistra, entra in campo venendo da una stanza sulla cui parete è una piattaia, che mostra piatti che dovevano essere di peltro, però dorati. Viene turbato da quanto sta vedendo. Sulla diagonale del corpo di Gesù si impiantano, in parallelo, i raggi divini spinti da due testine angeliche dietro alle quali vaporose nubi salgono ad arrotondarsi nell’arco scorciato.

Un tendone, di spessa stoffa è drappeggiato sul margine sinistro, tenuto serrato da un cordone con nappa, che se si dovesse stendere lascerebbe isolate le quattro figure in primo piano, così, invece, suggerisce una visione scenica, da teatro miracoloso, di cui diventa sipario.

Elia Vincenzo Buzzi modellò in terra creta la portina, che poi venne fusa a cera persa, in bronzo, dal milanese Carlo Domenico Pozzi, alla fine dorata come le più preziose porzioni dell’altare, dal milanese Giovanni Antonio Repetti per darla compiuta nel 1742.

Vi avverto che se vorrete salire all’altare per esaminare da vicino la preziosità appena descritta, vi converrà chiedere il permesso al sacrestano, altrimenti ne sarete discacciati come fece Gesù con in mercanti al Tempio.

Andateci, con giudizio, ve lo dice Silvano Colombo.

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