Il gender gap, come lo chiamano i moderni esperti di economia e società, è ancora un problema per la provincia di Varese. La distanza tra uomini e donne, di questo si tratta, è ancora ampia anche se su alcuni fronti non mancano i segnali positivi.
Nel Varesotto, si legge in un documento in un documento dai ricercatori del think tank di Harvard, Strategique, per Confindustria Varese, si legge che “le donne guadagnano quasi il 15% in meno degli uomini, a fronte di un gender pay gap che si attesta al 13,4% in Lombardia e al 10,9% in Italia”
Qualche elemento in controtendenza è stato rilevato dalla recente classifica sulla qualità della vita del Sole 24 Ore dove è risultato che il di tasso di occupazione femminile (Varese, con il 63,7%, è 26esima, salendo fino al nono posto per l’occupazione delle sole ragazze giovani). Punti deboli nella parità di genere sono invece il numero di laureate (2,9 ogni mille abitanti, dato che vale l’81esima posizione su 107 province), il numero di imprese femminili sul totale (89esimi con il 20,68%), la percentuale di donne nelle amministrazioni comunali (45esimi).
C’è un cammino da fare, ma bisogna rilevare che sta concretamente aumentando la sensibilità verso il tema della società inclusiva, non solo per le donne, ma anche per i giovani, gli anziani, quanti sono in qualche modo svantaggiati. È sta crescendo anche la consapevolezza che non bisogna puntare ad una formale uguaglianza, ma, anche se è più difficile, a valorizzare le diversità.
Non consola comunque il fatto che la disuguaglianza tra uomini e donne accomuni praticamente tutti i paesi del mondo. Lo afferma il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum (Wef), che ogni anno rileva lo stato del divario di genere nel mondo. Il punteggio globale del divario di genere nel 2023 per tutti i 146 paesi inclusi in questa edizione si attesta a quota 68,4%, in miglioramento di soli 0,3 punti percentuali rispetto all’edizione dello scorso anno.
I nove paesi più virtuosi (Islanda, Norvegia, Finlandia, Nuova Zelanda, Svezia, Germania, Nicaragua, Namibia e Lituania) hanno colmato almeno l’80% del loro divario. L’Islanda a 91,2%, l’unico oltre quota 90, si è confermata per il 14mo anno al primo posto. La top five mondiale è completata da altri tre paesi nordici, Norvegia (87,9%), Finlandia (86,3%), e Svezia (81,5%), e un paese dell’Asia orientale e il Pacifico, la Nuova Zelanda (85,6% ).
L’Italia a quota 70% si posizione al 79esimo posto, un poco superiore alla media mondiale, ma con una perdita di 16 posizioni rispetto alle rilevazioni 2022, e mantenendo un’ampia distanza rispetto a numerosi Paesi dell’eurozona, dove ad esempio la Germania si conferma al sesto posto (81,5%) e la Spagna al 18esimo.
Per quanto riguarda la partecipazione e le opportunità economiche, l’Italia è salita dalla posizione 110 alla 104 mentre resta pressoché invariata la posizione nell’accesso all’istruzione (60esimo posto rispetto al 59esimo dell’anno precedente).
Sul fronte dell’occupazione i dati italiani sono disarmanti. La crescita dei posti di lavoro che si è registrata negli anni post pandemia ha infatti fortemente privilegiato la componente maschile. I dati Istat fotografano infatti una situazione tutt’altro che incoraggiante per le donne: su 334mila occupati in più registrati in un anno (dicembre ’21 vs ’22), 296mila erano uomini (oltre l’88%) e 38mila donne. Con un tasso di occupazione femminile che si è attestato al 51,3%, cioè un minuscolo 0,5% in più rispetto ad un anno prima. La media europea delle donne occupate (62,7%) appare molto distante.
A completare il grigiore del quadro si può aggiungere il tasso di disoccupazione femminile che resta fermo al 9,1% contro il 6,8% degli uomini, divario che addirittura aumenta per la fascia d’età fra i 15 e i 24 anni. Il tasso di inattività (cioè di non partecipazione al mercato del lavoro “ufficiale”) arriva così del 43,4% contro il 25,2% degli uomini. La parità di genere nel mondo del lavoro in Italia è ancora molto, ma molto lontana.
You must be logged in to post a comment Login